C’era una volta: la ricorrenza

guerra

Delle tante ricorrenze che il calendario della storia ci ricorda, quest’anno se ne terrà una che l’umanità intera non può scordare e non scorda: il 28 luglio 1914 l’Austria dichiarò guerra alla Serbia.

Fu un atto che in breve tempo coinvolse tutti. L’impero germanico invase il Belgio e il nord della Francia: il gioco delle alleanze decretatesi negli ultimi anni dell’ottocento, in breve trasformò un conflitto locale nella prima delle due più disastrose guerre che abbiano mai convolto l’umanità dai tempi della guerra dei 30 anni.

Tra non molto avremo modo di leggere e sentire ripetutamente le statistiche di quel conflitto: oltre 70 milioni di uomini coinvolti, 9 milioni di morti fra i combattenti e 7 milioni fra i civili per carestie e malattie della denutrizione e della miseria.

Gli storici sapranno illustrare molto meglio di me le vicende di quei 4 anni, le cause vere del prima, e le conseguenze del dopo.

Per quanto riguarda “il prima”, non va scordato che nel 1911, occupando militarmente Tripoli, l’Italia dimostrò la debolezza dell’impero ottomano; fu l’occasione per Bulgaria Serbia e Grecia di rivendicare l’egemonia della Macedonia riducendo così la presenza turca nei Balcani. A questo atto seguirono tre anni di minacce di tutti contro tutti, che sfociarono nella provocazione di Sarajevo. Ora pare un paradosso, ma l’arciduca Francesco Ferdinando era forse l’unico ben intenzionato: non voleva un impero legato con l’oppressione dei popoli ma unito da lega犀利士
mi federativi.

Voglio soltanto ricordare che “il dopo” fu una vera rivoluzione sociale; quattro imperi sparirono definitivamente: russo, ottomano, germanico e austriaco, sostituiti da governi di popolo.

Poiché lo scenario principale fu l’Europa, qui vi furono i maggiori sconvolgimenti. L’alto ideale della autodeterminazione dei popoli suggerito dal presidente Wilson, fu discontinuamente applicato dalle potenze vincitrici ancora prigioniere della mentalità ottocentesca della spartizione del bottino.

Fu una corsa a prendere, che si concretizzò in una pace ingiusta.

La Germania fu obbligata al risarcimento dei danni di guerra che la mise definitivamente in ginocchio e che fece scontare alla neonata repubblica le colpe del precedente impero.

Persero gli Arabi, che alla convenzione di Ginevra non furono nemmeno ascoltati e divennero oggetto di spartizione delle ambizioni di Francia e Gran Bretagna.

Perse l’Italia, entrata nel 1915 senza ragione nel conflitto, che si vide mutilata nelle proprie rivendicazioni territoriali.

Ma in particolare, in quel vagone ferroviario a Compiegne, i vincitori umiliarono la Germania e sollecitarono l’orgoglio di un popolo ferito. Un orgoglio che troverà poi soddisfazione nel ’33 con l’elezione di Hitler a cancelliere.

Che cosa ci può insegnare oggi la storia? Meri fatti? Le riflessioni del post partita infarcite di se e di ma? Fumose e tutto sommato inutili dichiarazioni di pacifismo?

Può invece insegnarci che – senza un profondo senso di giustizia – gli errori che questa umanità commette saranno sempre gli stessi? E sempre le stesse saranno le conseguenze?

La conoscenza della storia è una occasione pratica e raggiungibile da tutti per comprendere l’alto valore della giustizia?

Per capire che – per quanto la si possa usare, storpiare, adattare o manipolare – essa volerà sempre alta sopra di noi, disponibile per tutti ma irraggiungibile, se i nostri cuori non si fermeranno a considerare la differenza che la separa dalla vendetta?

Erberto Accinni

 

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