C’era una volta: il 25 luglio

Gran-Consiglio

Settantuno anni fa, alle ore 17 del 24 luglio, iniziava la seduta del Gran Consiglio che si concluse con la votazione in favore dell’ordine del giorno Grandi; in conseguenza, forse non da tutti prevista, si votò per il ripristino di tutte le funzioni statali e per la restituzione del comando delle Forze Armate al re.
Le intenzioni di parte dei 28 membri erano di dare un aiuto a Mussolini, chiamandolo in parte fuori dal disastro che si stava compiendo, e di riportare casa Savoia a condividere le responsabilità della rovina imminente.
Poiché questo non era possibile per via istituzionale, giacché il re aveva delegato a Mussolini le sue funzioni di governo e di capo delle forze Armate, l’ordine del giorno Grandi ebbe lo scopo di far votare la sfiducia a Mussolini affinché riconsegnasse il mandato al Re, che – in base all’articolo 5 dello statuto Albertino – riprendeva così il ruolo di Capo delle Forze Armate e le prerogative di Capo di Stato per ogni decisione.
Il Gran consiglio si concluse oltre le 23, con 19 voti a favore e 8 contrari.
Mussolini il 25 luglio chiese udienza al re per illustrare i risultati del Gran Consiglio – che era soltanto un organo consultivo – e fu informato della sua sostituzione con il Maresciallo Badoglio.
All’uscita da Villa Savoia fu arrestato dai Carabinieri, e questo fu l’atto conclusivo di una farsa tutta italiana che produsse i noti effetti: la caduta del fascismo, la dichiarazione di continuazione della guerra, e l’inizio dei contatti diplomatici con gli Alleati per la resa, che portarono il 3 di settembre alla firma dell’armistizio breve a Cassibile comunicato poi l’8 settembre; dopo Caporetto la giornata più infausta della Nazione.
Mussolini fu tradotto a Ponza, poi alla Maddalena per depistare i Tedeschi che erano sulle sue tracce per ordine di Hitler, e infine a Campo Imperatore sul Gran Sasso. Il 12 settembre, dopo la comunicazione dell’Armistizio e mentre l’Italia era nel caos istituzionale dopo la fuga del re, un commando tedesco lo liberò e lo portò in Germania. Il 18 dello stesso mese da Radio Monaco annunciò la nascita dello Stato Fascista Repubblicano, costituito ufficialmente il 23 presso l’Ambasciata tedesca a Roma. Al quarto Consiglio dei Ministri, fu deliberato il nome definitivo: Repubblica Sociale Italiana.
Nonostante le reboanti comunicazioni, la RSI non fu altro che un protettorato tedesco, che servì a legittimare le annessioni territoriali (Tirolo, Carinzia e province del Triveneto) e lo sfruttamento di mano d’opera a basso costo, e fu sempre controllato sia amministrativamente sia sulla direzione della guerra.
Qualcuno ha detto che sia stato utile, e che Mussolini – ormai stanco – si sia prestato a questa ultima tragedia per evitare all’Italia del Nord ulteriori calamità. I pareri sono discordi: c’è ci ha visto – nella definizione di stato fantoccio – una scusa per sottrarre responsabilità ai fascisti italiani riguardo a episodi gravissimi come la deportazione degli Ebrei e gli eccidi operati dalle Forze Armate Repubblichine.
Un fatto è incontrovertibile: fino al 25 aprile 1945 l’Italia visse le sue più brutte pagine di storia, la guerra civile.

Erberto Accinni

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