La diatriba infinita

interrogativo

Tempo fa, in occasione della presentazione di un mio scritto che trattava di guerra, poiché dicevo molto blandamente che le guerre paiono essere il modo più facile per risolvere i problemi cogenti, mi fu chiesto quale fosse il mio pensiero sull’argomento.
Scrivo ora quello che dissi allora, poiché non ho particolari remore a dire che – nel peso della storia del mondo – la mia opinione non conta.
Personalmente ritengo che non serva a nulla, e preferirei che fosse il buon Dio a pensare al problema del sovrappopolamento visto con gli occhi di Malthus, e cioè che le risorse alimentari crescono in progressione aritmetica mentre la popolazione cresce in progressione geometrica, e quindi non c’è cibo per tutti.
Preferirei che fosse Lui a prendere provvedimenti, invece di delegarli alla razza umana, ma questo perché sono un cattolico pentito che non riesce a liberarsi del Suo comandamento di non uccidere.
In fondo – se le mie reminiscenze cristiane non hanno buchi – Lui ha creato il cielo e la terra e i tre regni, animale vegetale e minerale; poi non si è occupato granché di quanto è accaduto nel regno animale evoluto: la razza umana. Il Dio d’amore e di bontà ha permesso tante di quelle violenze, nel corso dei secoli, da far dubitare della sua esistenza persino qualche suo funzionario terreno.
Personalmente credo più utile il dialogo che è veicolo per la comprensione, però mi rendo conto che non molti possono dialogare su questo tema. Sono arrivato persino a credere nell’esistenza di una razza umana di élite che si è surrogata a Lui nei suoi doveri terreni e in misura tale da decidere cosa è bene; che le guerre, le epidemie, le carestie, siano state decise a tavolino da questi esseri superiori che ne hanno valutato la necessità e forse le hanno persino volute per mantenere l’equilibrio che la teoria di Malthus pone in evidenza.
Un po’ come dire cinicamente che, se c’è stato lo tsunami in Malesia, beh… meglio là che qui, con buona pace di tutti i cuori pietosi che mandano offerte in Africa per i poveri bimbi che non mangiano e poi buttano via i cibi avanzati “perché non mi piace la roba riscaldata”.
Per comprendere meglio le azioni di questa ipotetica “razza umana di élite”, propongo una osservazione che faceva mio padre: immaginate di avere fame; fame davvero, non un languorino da chiudere con un Ferrero Rocher; quella fame che hanno provato i nonni in tempo di guerra o gli Ebrei nei campi di sterminio. Ecco, adesso immaginatevi – affamati e assieme ad altri affamati – di fronte a un tavolo dove sta un pezzo di pane, e ditemi quanta pietà vi fanno quei poveri visi emaciati.
Siate caritatevoli con me e non mi accusate di cinismo.
Certo la guerra è pari al ferro rovente che brucia tutto, e non è nemmeno vero che si porta via i peggiori lasciando i migliori. Alla fine della guerra, i peggiori ne hanno avuto abbastanza e stanno quieti per un po’ mentre i migliori scrivono pagine per raccontare le sofferenze; ma la proporzione fra il buono e il cattivo dell’umanità è cambiata di poco. Essendo però diminuito il numero delle bocche, chi governa i destini del mondo può permettere che un’ondata di sincero pentimento e bontà prevalga e faccia andare bene le cose per qualche decennio.
Non ci credete? Pensate a quanti anni sono occorsi per arrivare alla ovvia conclusione che ognuno può pregare il proprio Dio in santa pace. Dal 1519 (anno in cui Lutero affisse le sue tesi protestanti sulla porta della cattedrale di Wuttemberg) al 1773 (anno in cui Clemente XIV sciolse l’Ordine dei Gesuiti, dopo che molti Stati avevano già revocato all’Ordine il monopolio dell’educazione scolastica). Pensate a quante guerre nel frattempo: contro i Turchi, contro i Protestanti, gli Ugonotti, i Calvinisti, i Luterani, gli Anglicani, i Cattolici, gli Ebrei, i Metodisti, gli Avventisti del settimo giorno, i Valdesiani, gli agnostici e gli scomunicati…

Poiché sostenevo che la violenza è in ciascuno, e che l’umanità la insegna da subito ai bimbi, e logica conseguenza che ci siano le guerre; era pertanto inutile la mia presa di posizione a favore o contro. Finché una parte dell’umanità ha accesso riservato al giardino delle delizie, ci sarà sempre il resto dell’umanità che premerà per entrare. Nel giardino delle delizie non ci stiamo tutti, ed è ovvio che quelli che restan fuori siano un tantino seccati.
Del resto se li fai entrare, anche in minima parte, ti mettono tutto in disordine… perché affamati come sono non hanno il senso della bellezza e te lo conciano peggio che il parco centrale dopo che si sono insediati i drogati: siringhe dappertutto, così pericolose per i cani a passeggio.

– Vedi com’è bravo e obbediente Pasquale? – dice la mamma a Calogero.
E Calogero che fa? Si adegua a Pasquale? Manco per sogno! Gli viene una di quelle rabbie che gli fanno covare dentro almeno due pensieri:
1° – Pasquale forse ha una madre migliore
2° – Pasquale è buono e obbediente, ma non – per questo – è meglio di me.
Dio, che non fa preferenze fra i suoi figli, amava Abele e lo teneva in grande considerazione, tanta da suscitare l’invidia di Caino che alla prima occasione favorevole lo ammazza.
Allora Dio – che non ha bisogno di far domande giacché vede e sa tutto – chiede a Caino dove sia Abele, che gli risponde, un po’ strafottente:
– Son forse io il custode di mio fratello?
Dio che fa? Lo perdona? Non ci pensa proprio: gli rinfaccia di averlo ammazzato e lo condanna ad andare per il mondo dannato. Pone su di lui il marchio affinché nessuno lo uccida, e lo allontana.
Sull’episodio, ho ricavato almeno due riflessioni:

– per quanto spietata, la punizione è educativa. Non coprendo l’omicidio sotto un manto di farisaica bontà (come fa ogni mamma di clan camorristico o mafioso) lo spedisce in giro a riflettere sul suo operato. Faccio notare che non ha impedito l’omicidio con forme di prevenzione che oggi sono quanto meno elementari; ha lasciato Caino libero di compiere il male riservandosi il diritto di giudicarlo ex-post; aggiungerei, ora, legittimando la categoria dei benpensanti, buonisti e giudici del dopo pranzo.
– La seconda riflessione è un conticino che non mi torna mai: secondo la Genesi all’inizio non c’è nulla. Dio – che vede e provvede – crea il mondo e poi sentendosi insoddisfatto crea l’uomo. L’uomo è solo nel bellissimo giardino dell’Eden e non sa che caspita fare lì, perché anche il bello dopo un po’ stufa; allora Dio inventa la donna, che non gli riesce molto bene giacché rivela una spiccata preferenza per le mele. Comunque fino a questo punto della storia c’è un mondo, con fiori e piante, con animali belli e brutti e soltanto due – diconsi due – esseri umani.
Dopo il fattaccio della mela, il buon Dio li scaccia (evidentemente anche a lui piacevano le mele e non le voleva condividere) e li manda nel mondo (sempre deserto) a guadagnarsi il pane col sudore della fronte e a partorire con dolore.
Fuori dal Giardino (datosi che dopo la cena a base di mele si erano subito accorti di essere nudi) i due tentano un esperimento ardito e divertente: questo dove lo mettiamo?
Scoperto dove deve andare, trovano il fatto così giocoso e gioioso che in un tempo breve diventano in quattro, diconsi quattro: Adamo, Eva, Abele e Caino.
Ora, dopo l’omicidio, sono in tre. Dove cazzo manda Caino per il mondo ponendogli il marchio ben visibile perché nessuno lo uccida? Tre sono e tre rimangono su tutta la faccia della terra. Se non c’è nessun altro chi mai lo potrebbe uccidere?
E dove ha trovato Caino una lei con la quale fare il gioco del “questo dove lo mettiamo” se sono sempre tre, ancorché separati da avverso destino?
Qualcuno mi ha obiettato che non devo prendere le cose alla lettera, che il Giardino dell’Eden è una metafora, come pure il resto della storia, che stigmatizza la nascita della cattiva azione (la crostata di mele e l’omicidio).
Sapere questo è stato peggio, almeno per me.
Se questa è una metafora, e la Bibbia inizia con una metafora… quanto di tutto quello che segue è vero o è sempre una metafora? E noi basiamo il nostro credo su una metafora?
Deve essere per questo dubbio che mi è venuto (forse non soltanto a me), che è stato anche detto che con un pizzico di fede grande come un grano di senape si smuovono le montagne.
Ma ce ne deve essere molto poca in giro, di senape intendo, giacché per smuovere le montagne, gli uomini preferiscono la dinamite e il martello pneumatico.

Forse – più semplicemente – ho fatto un gran mischione fra speculazioni sul divino e fatti di vita vissuta molto terreni.
Non è che non creda alla presenza di Dio… credo sempre meno a quel Dio che mi rifilano da una vita, e a tutto l’edificio che da Pietro in poi gli hanno costruito sopra.
Se Dio c’è – e sono propenso a crederlo e sentirlo – lo immagino come un gran orchestrale che, con valutazioni che non possiamo concepire con umane fantasticherie, giudica e amministra con leggi buone, sagge, sapienti, che niente hanno a che vedere con quelle che usiamo noi.
Permette che ci sia la fame, la violenza, il peggio, perché da queste nascano il volontariato, la giustizia, il superamento dell’attaccamento alla materialità delle cose.
Perché far procedere una cosa dall’altra?
Non lo so.
Forse perché altrimenti il mondo sarebbe noioso? non avremmo niente da dire e saremmo come i baccelli del film “L’invasione degli ultracorpi” di Don Siegel: esseri senza sentimenti?
E così noi ci danniamo a pretendere spiegazioni, laddove l’unica forse possibile, nemmeno la vediamo, perché ci metterebbe paurosamente tutti in discussione: e questo non lo vogliamo.

Erberto Accinni.

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