Gironzolando per i negozi…che prezzi!

magazzini

Oggi sono andata in giro per negozi, in modo più specifico in un grande magazzino.
Voi non ci crederete ma tutti gli oggetti, la maglieria, i vestiti, i profumi, la gioielleria, etc. possono essere acquistati solo da chi ha un buon reddito. Confesso di aver fatto forza su me stessa per restare e guardare il più possibile. Sì, mi sono forzata, perché il mio primo istinto è stato di andarmene fuori a grandi falcate.
Quando si dice uno schiaffo alla miseria! Mentre gironzolavo tra i reparti, diventava sempre più incalzante una domanda: cos’è un grande magazzino? Quale domanda deve soddisfare?
Da wilkipedia:
“Esercizio al dettaglio operante nel campo non alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq e di almeno 5 distinti reparti (oltre l’eventuale annesso reparto alimentare) ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli appartenenti a settori merceologici diversi ed in massima parte di largo consumo”.
Sono d’accordo su tutto, tranne che sui prezzi esposti sulla merce, specie se riguardano beni di “largo consumo” e per definizione accessibili a tutti proprio perché di largo consumo. In realtà ho visto soltanto maglioni da 200 euro e più, camicie altrettanto care e persino una semplice pochette porta trucchi costava una fortuna! Pensare poi di acquistare un oggetto prezioso sarebbe stato veramente arduo! 
E vogliamo parlare di crisi?
Chi può acquistare quei beni?
Forse un pensierino per un eventuale acquisto di qualcosa si potrà fare soltanto tra un mese e più, all’inizio dei saldi!
Nella mia mente si susseguono riflessioni che vanno verso una unica direzione: i prezzi.
Siamo o non siamo in un mercato concorrenziale? I prezzi non sono stabiliti dal mercato? e in effetti:
“Il prezzo di mercato di un bene è determinato dall’incontro tra domanda e offerta. In linea generale, se la domanda di un bene, di un servizio, di un prodotto finanziario (mercato finanziario), aumenta, di conseguenza ne aumenta anche il prezzo. Viceversa se la domanda diminuisce, il prezzo di mercato diminuisce di conseguenza”. (1)

Nel caso italiano, ci troviamo di fronte a una normale situazione che l’economia, in quanto scienza che studia il comportamento dei soggetti economici, ha delineato e previsto.
È indubbio che ci troviamo in un periodo deflazionistico: la deflazione infatti è la conseguenza di una debole domanda di beni e servizi; si spende poco e i consumatori rinviano gli acquisti di beni e servizi non indispensabili, sperando in un calo dei loro prezzi.
Le imprese, non riuscendo a vendere quei beni, “dovrebbero” (in teoria) collocarli sul mercato a prezzi più bassi. Invece la conseguenza è che calano i loro ricavi perché i prezzi sono troppo alti e non vendono.
Cercano allora di abbattere i costi del lavoro, dell’acquisto di beni e servizi da altre imprese. In generale si riduce il ricorso al credito da parte di tutti gli operatori economici.
La deflazione è la conseguenza di una recessione economica causata dalla diminuzione della domanda aggregata di beni.
Studi economici però hanno messo in discussione la relazione tra deflazione e depressione economica. Casi di forte deflazione possono anche causare il fenomeno della tesaurizzazione della moneta, della quale si prevede in futuro, un possibile aumento del potere d’acquisto.
Se la conseguenza della deflazione è la riduzione dei prezzi, perché l’economia non riesce a ripartire?
John Maynard Keynes avanza una spiegazione, e dice che in tempi di crisi economica il risparmio è considerato negativamente, perché se tutti accumulano la moneta (risparmiano per motivi precauzionali, di salute, pensionistici, per permettersi una vacanza), la domanda aggregata si abbassa ulteriormente e con essa diminuisce la ricchezza, si produce di meno e aumenta la disoccupazione. Se la massa monetaria liquida tenuta a disposizione è trattenuta dai soggetti economici, viene favorita la speculazione a scapito degli investimenti.
Il risparmio e l’accumulazione di denaro sono caratteristiche proprie della crisi.
Mi chiederete cosa c’entra con i grandi magazzini?
C’entra. I produttori vendono a prezzi alti i loro beni, in primis perché questi sono gravati da troppe imposte; in secundis perché i fatturati di imprese straniere in Italia sono molto più che concorrenziali: infatti producono a costi molto più bassi delle imprese italiane.

Anche altri Paesi europei stanno attraversando un periodo di crisi: una crisi che mette in discussione l’intero sistema economico di ciascun Paese Membro, e non dell’Europa come istituzione.
La soluzione potrebbe stare proprio cambiare gestione economica e mentalità all’interno dei paesi europei. Siamo assistendo a un fenomeno diverso dal solito: una economia dei nostri giorni, moderna, tecnologica, sociale, etica. Occorrerebbe allora rimettere al centro dell’economia l’uomo e i suoi bisogni. Bisognerebbe ripartire da zero, capire dove si è sbagliato, apportare modifiche che non abbiano niente di retrò.
Bisognerebbe attuare modifiche strutturali, apportare novità economiche per risvegliare il sistema sia sul lato del lavoro sia della produzione.
Per riguadagnare “rating” non ci si può limitare ad “esigere soldi”. Lo sviluppo del lavoro e dell’economia non si può ottenere facendo ricorso soltanto alle privatizzazioni.
Adesso è necessario che la maggioranza e l’opposizione inizino a collaborare costruttivamente.
Il momento è critico, e sperare in un’autonoma inversione di tendenza del mercato è utopistico: questa volta, la fine della crisi deve essere pilotata politicamente e economicamente.

(1) http://it.wikipedia.org/wiki/Categoria:Economisti_italiani

Luciana E.

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