Vero o Falso: la coerenza

interrogativo

Per mio padre molte cose erano bianche o nere; non ammetteva i toni grigi.

Non ammetteva l’incoerenza. Non gli piacevano le persone che stavano “una volta sul pero e un’altra sul fico”. Uno dei suoi preferiti proverbi era: chi lascia la via vecchia per la nuova… eccetera.

È una visione semplificata che per molto tempo ha blindato anche me, facendomi diffidare di ragionamenti dei quali non intuisco immediatamente le finalità: non si può argomentare se a ogni piè sospinto si cambiano le carte in tavola. Si creano un sacco di dubbi.

Quante volte, davanti a logiche stringenti, ho sentito le controparti annaspare nel discorso e poi finire col ribattere polemicamente pur di non mollare il proprio punto di vista. E quante volte l’ho fatto io…

È un momento importante della vita che spesso non cogliamo. Annaspare nel ragionamento è indice che si sta perdendo la certezza, che si ha l’occasione per diventare esseri pensanti, ma quasi sempre prevale la diffidenza.

 La coerenza intesa come fedeltà alle proprie motivazioni, è vissuta silenziosamente e non sbandierata ai quattro venti. Se diventa un atto pubblico per me somiglia più a una gabbia.

Chi non ha mai udito affermazioni esasperate, quali: “sono stato fascista e lo sarò sempre”? Come tutte le fedi politiche, la frase è usata anche da comunisti, socialisti, liberali e tifosi di calcio, poi fate voi cos’altro.

Forse è davvero una bella cosa essere votati a una causa: sicuramente una dimostrazione di fede nel proprio credo. Ma è anche una dimostrazione di saggezza?

Ricordare con devozione che con Mussolini è nata la previdenza sociale, e i treni arrivavano in orario è certamente una memoria di valore storico, però oggi si va da Milano a Roma in tre ore spaccate senza nessun ritardo, eppure il fascismo non c’è più.

 Vero è anche che, oggi, l’Inps è stata talmente sfasciata con interventi lontani dalle finalità prefigurate dal fascismo, che io non so più che fine abbiano fatto i “miei” contributi, prelevati dai “miei” stipendi e versati per la “mia” pensione. Poiché i giovani lamentano che pagano loro la “mia” pensione (e ne sono infastiditi), io amerei sapere che fine han fatto i “miei” contributi che dovevano mettermi al riparo da queste insinuazioni di carità giovanile.

 Fatte salve le digressioni socio economiche sopra espresse, il tema di oggi è la coerenza.

Ha un senso essere da sempre e per sempre fascista, o comunista? Forse ne ha di più essere milanista.

Ha un senso pensare tutta la vita che una situazione o un’azione o un fatto, debbano essere visti o compiuti o affrontati sempre coerentemente col proprio convincimento o credo o fede?

Se nelle azioni, essere coerenti col pensiero è prova di correttezza e lealtà, è altrettanto un bene essere sempre indiscutibilmente e acriticamente legati a un pensiero e una fede?

In ogni professione di fede che duri tutta la vita, io – forse sbagliando – ho sempre creduto di scorgere tracce di fanatismo, in qualche caso condito da convenienza utilitaristica.

Mi capita spesso di pensare che in questa coerenza “pronta, cieca e assoluta” si celi la paura, il timore che di fronte ai dubbi, questa trincea ben organizzata possa scricchiolare lasciando l’animo nello sgomento più nero.

Così, difendere a spada tratta le proprie credenze (che di rado sono scelte, ma più spesso invece sono comportamenti indotti), significherebbe proteggere la propria identità dandole un senso. Evidentemente è più facile restare coerenti che ridiscutere le convinzioni che hanno condizionato una intera esistenza.

Affrontando l’alternativa in questi termini spietati, i più pensano che una volta distrutto il proprio credo resterebbe un vuoto doloroso difficile da colmare. Ritengo che non sarebbe di aiuto spiegare che non si crea un vuoto ma si innesca una mutazione. Davanti a una paura di questo genere, la legge di Lavoisier non regge molto, perché è richiesta la dote che è mancata per tutta la vita: la duttilità.

Dobbiamo ammetterlo: pochi di noi possono sperare nell’intervento divino che trasformò Saulo in Paolo sulla strada di Damasco. Molti dovrebbero contare soltanto sulle proprie forze e sul proprio coraggio.

Eh sì, perché ci vuole coraggio per il cambiamento e non tutti pensano di averne; ed è un vero peccato che molti – pensando di non aver quel genere di coraggio – con un coraggio da leoni costosissimo in termini di energia vitale, tengano duro in convincimenti che temono di lasciar andare, perché chi lascia la via vecchia per la nuova…

È come se ogni fatto nuovo fosse da evitare, tanto è vero che lo chiamano “imprevisto” e gli attribuiscono sempre connotazioni negative. Raramente l’ho sentito chiamare opportunità.

 Se la coerenza è fede, e se la fede diviene certezza che non ammette contradditorio… qual è il suo opposto? IL DUBBIO.

Come si contrasta il dubbio? Con IL DOGMA.

Cos’è il dogma? Il fattore risolutivo o una costrizione?

Certamente non è una regola, anche se nelle intenzioni dichiarate, obbliga come e quanto una regola.

Due e due fanno quattro, su questo non piove: basta accostare le dita della mano e contare; ma se dettiamo un dogma, nelle teste figlie dell’umanesimo e dell’illuminismo sorge subito la domanda ribelle: chi l’ha detto?

Non potrebbe esserci una verità meno costrittiva e più accettabile? Non potrebbero esserci più verità senza che una escluda l’altra?

Mary Poppins diceva che con un po’ di zucchero la pillola va giù. E tutti sanno che i dogmi sanno di tutto fuorché di zucchero.

 La coerenza è un concetto, e come tale non è né buono né vigliacco. È l’uso che se ne fa che lo nobilita o lo rende ridicolo.

Non pesate ora che incoraggi l’incoerenza, perché nemmeno questa è una buona cosa che spesso viene additata: “predica bene e razzola male”.

 E allora? Ho scritto una sacco di parole che potevo risparmiarmi o sono arrivato da qualche parte?

Non saprei proprio dirlo. Per questa ragione lo scritto sta nella rubrica “Vero o Falso?”

Erberto Accinni

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