8 marzo festa delle donne

      mimosa

È l’8 marzo e ricorre la festa delle donne!!!
Mi sono sempre chiesta che cosa ci sia da festeggiare, poiché la donna è stata sempre ritenuta “diversamente abile” rispetto all’uomo.

Qualche riferimento storico a sostegno dell’affermazione.
La giornata è dedicata alle donne che hanno dovuto combattere per ottenere riconoscimenti paritari sul piano dei diritti, dell’economia e della politica, e contro le discriminazioni e le violenze di cui, ancora oggi, sono vittime.
La festa ha le sue radici nella manifestazione che il Partito Socialista americano organizzò il 28 febbraio 1909 a sostegno del diritto di voto delle donne. Proprio in quegli anni, le donne diventarono più attive non soltanto sulle rivendicazioni sociali ma anche scendendo in piazza per giorni per chiedere un aumento di salario e il miglioramento delle loro condizioni di lavoro.
Nel 1910, in occasione dell’VIII Congresso dell’Internazionale socialista, fu proposto di istituire una giornata dedicata alle donne. L’anno dopo, nel 1911, la fabbrica Triangle di New York andò a fuoco, e quasi 150 donne persero la vita.
Da allora si coalizzarono, e molte furono le sommosse in Europa per la rivendicazione dei loro diritti, mai riconosciuti.
Nel 1917, scesero in piazza a San Pietroburgo per chiedere la fine della guerra, e in quella occasione venne fissato nell’8 marzo il giorno dedicato alla loro festa.
In Italia si dovette attendere il 1946, quando si decise che la donna potesse esercitare per la prima volta dopo secoli di estromissione il suo diritto di voto per la scelta tra Monarchia e Repubblica.
Come simbolo della ricorrenza fu scelta la mimosa, la pianta che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo.

Dicevo che io non trovo nulla da festeggiare in questo giorno e spiego perché.
Le ricerche e gli studi di storia delle donne sono iniziati a partire dagli anni Settanta del Novecento.
La storia delle donne ha da sempre posto due questioni al centro delle disquisizioni: il sesso (sex) e il genere (gender). Il primo termine rappresenta l’identità femminile nelle sue caratteristiche fisico-biologiche, il secondo indica le modalità culturali, sociali, simboliche attraverso cui è stata definita l’identità della donna.
Nel mondo antico è stato sempre il soggetto maschile che ha fornito una rappresentazione della donna; sono pressochè inesistenti gli scritti tramandati da donne, i loro desideri, le prese di posizione e le resistenze.
Il Medioevo e la Modernità ci tramandano scritti di donne; storicamente sono identificati a un tempo definito “Matriarcato”, che secondo Bachofen fu un periodo di grande elevazione morale, proprio perché il potere e la supremazia appartennero alle donne.
Nicole Laraux, nel suo saggio “Che cos’è una dea”, in Storia delle Donne in Occidente, però dà altra spiegazione; egli presume che la tesi sul matriarcato sia attribuibile a un’invenzione del soggetto maschile con lo scopo di risarcimento ‘virtuale’ alla donna, sempre soggiogata e sottomessa dall’uomo; cose dire: “diamo loro il contentino”.
Furio Iesi nel suo saggio “I recessi infiniti del Mutterrecht”, spiega perché Bachofen esalti l’idea religiosa della donna: la cultura cattolica del IX secolo ha rafforzato il ruolo materno della donna interfacciandolo con il modello ideale della Vergine Maria.

Nel tempo
Nel V-IV sec. a.C., ad Atene, la donna, era relegata in un ruolo passivo e domestico, che prevedeva la totale obbedienza al padre o al marito. Trascorreva le giornate tra le mura domestiche, nel gineceo della casa, ad occuparsi, insieme agli schiavi, delle faccende casalinghe e della prima educazione dei figli.
Le uniche donne veramente libere erano le cortigiane, dette etere (in greco ἑταίραι), prostitute sofisticate che oltre a prestazioni sessuali offrivano compagnia, con le quali i clienti avevano spesso relazioni prolungate. In maggioranza ex-schiave o straniere, le etere erano colte, libere, potevano gestire i propri averi, potevano uscire a loro piacimento e avere una vita pubblica.

La donna di Aristotele
Aristotele fu uno dei più convinti sostenitori della disuguaglianza tra i sessi e della superiorità dell’uomo sulle donne, per questo fu tanto stimato dal Cristianesimo.
La sua teoria sulla subordinazione della donna partiva dall’osservazione dei suoi tratti anatomici e da una riflessione sulla riproduzione sessuale.
“Nonostante abbiano entrambi lo stesso éidos , la trasmissione dell’èidos ai nuovi nati dipende solo dal padre. Il padre attraverso lo sperma permette la riproduzione, la madre é totalmente passiva, lo riceve in forma.”
Il corpo femminile secondo Aristotele è un fallimento sistematico se lo si confronta al corpo dell’uomo: la donna è piccola, fragile, ha meno denti, minor numero di suture craniche, ecc.; tutto questo “perché le donne sono più deboli e più fredde, e si deve supporre la loro natura come una menomazione”.
Se è il padre a generare, come si trasforma il sesso del nascituro in femmina?
Aristotele risponde a questa domanda appellandosi “all’impotenza del padre”, il quale in alcune circostanze può veder indebolita la sua capacità di dare la vita: da questa impotenza nasce la donna, che è caratterizzata a sua volta da una stessa impotenza. Indebolito, il padre dà forma a un prodotto imperfetto, difettoso, di seconda scelta, che invece di essere il suo ritratto vivente è la rappresentazione della sua astenia.
La donna non è nient’altro che la forma difettosa dell’èidos.
La donna romana era più libera della donna greca, e all’interno della casa aveva più dignità; poteva uscire, poteva essere acculturata ed era spesso consigliera del marito, riuscendo in tal modo ad avere influenza sulla stessa vita pubblica; ma come in Grecia, anche le donne romane erano destinate al matrimonio e alla maternità; come in Grecia, anche a Roma l’indiscusso capo della famiglia era il padre, con poteri assoluti riconosciuti dalle leggi dello Stato, sui figli, sugli schiavi e sulla moglie. La donna, salvo casi eccezionali, era sempre sotto la tutela di un uomo.
“[…] le donne anziane […] sappiano dare buoni consigli per insegnare alle donne più giovani ad amare il marito e i figli, le aiutino a essere prudenti, caste e buone, ad aver cura della casa e a essere sottomesse ai loro mariti” (Tito 2,5).

Cristianesimo ed epoca medievale
La considerazione emerge dalla lettura tratta da Tertulliano: “La toeletta delle donne”.
“Tu generi nel dolore e nell’angoscia, donna; tu subisci l’attrattiva di tuo marito ed egli è il tuo padrone. E ignori che Eva sei tu? Perdura ancora in questo mondo la sentenza di Dio contro il tuo sesso. Dunque vivi necessariamente da accusata. Tu sei la porta del diavolo. Tu hai rotto il sigillo dell’albero; tu per prima hai rinnegato la legge divina; tu hai circuito colui che il diavolo non ha potuto colpire (cioè l’uomo!!); tu, così agevolmente, hai superato l’uomo, immagine di Dio. Il tuo prezzo, la morte, è costato la morte anche al Figlio di Dio”.

L’inferiorità della donna secondo San Paolo
“Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, così com’è giusto di fronte al Signore” (Colossei 3,18).
In San Paolo, la subordinazione della donna rispetto all’uomo è fatta dipendere anche dal mito biblico del peccato originale, che attribuisce alla donna e alla sua disobbedienza a Dio la responsabilità della cacciata dal Paradiso. È una riflessione etico-morale che si intreccia e si sovrappone a quella onto-teologica relativa alla creazione.
Da San Paolo, e più in generale da gran parte dei padri della chiesa, il Medioevo ha preso una concezione della donna come figlia di Eva, e per questo naturalmente incline al male.
Accusata di malvagità, la donna è stata esortata dalla società medievale a essere santa.
Santa o malvagia, è sempre agli estremi opposti che si situa, come se una posizione intermedia ‘normale’ le fosse negata.

Età Moderna
La sfera femminile sempre più si identificò con lo spazio privato e con la famiglia, e quello maschile con lo spazio esterno, pubblico. Da sempre al figlio viene dato il cognome del padre che lo introduce nella società, dove egli è conosciuto anche per i ruoli che assume.
Il processo di ulteriore marginalizzazione della donna fu facilitato dal fatto che a partire dal XVI secolo, sia in area Protestante sia in area Cattolica, si accentuò l’enfasi sulla autorità del capo famiglia su moglie e figli, in relazione al ruolo sempre più centrale del matrimonio.

L’illuminismo e la donna
Durante l’Illuminismo, la donna restò relegata in posizione di inferiorità. Nonostante le sue aperture, il discorso illuminista è quasi esclusivamente maschile.
Come si ricava dalle figure di donna che affollano gli scritti e i romanzi del Settecento, questo secolo è ancora ispirato all’idea della inferiorità della donna rispetto all’uomo.
Anche gran parte dei filosofi dell’Illuminismo hanno difeso questa concezione del rapporto tra il genere maschile e quello femminile.

Resistenza e insubordinazione femminile nella modernità
Nella Dichiarazione dei diritti delle donne e della cittadina elaborato dalla De Gouge nel 1791, si chiedeva che la Dichiarazione dei diritti dell’uomo promulgata nell’ambito della rivoluzione francese, fosse estesa anche alle donne. La rivendicazione fu respinta dalla Convenzione e la de Gouge fu condannata alla ghigliottina.

Il XIX secolo: continuità e persistenze
Fino agli ultimi decenni dell’Ottocento, le leggi civili e le istituzioni politiche hanno mantenuta quasi intatta la disparità tra uomini e donne: questo è accaduto nonostante le donne più volte nei loro scritti e proclami, avessero affrontato il problema dell’emancipazione femminile, e nonostante le donne di ogni ceto avessero preso parte alle lotte politico-sociali di carattere rivoluzionario (nel 1789, nel 1848, ecc.).

La prima ondata e il femminismo dell’uguaglianza
Il movimento delle donne, nelle sue correnti socialista e liberale, ottenne il massimo delle sue conquiste all’indomani della Prima guerra mondiale, soprattutto in Gran Bretagna, negli Stati Uniti e nell’Unione Sovietica.
Subito dopo, il movimento entrò però in crisi. Questa crisi durò per quasi mezzo secolo, fino agli anni Sessanta-Settanta del Novecento, quando riprese la seconda ondata del femminismo.
La supremazia maschile ottenuta attraverso lo sfruttamento della differenza sessuale, fu vista come la più antica e basilare forma di sfruttamento, che né il liberalismo né il socialismo hanno potuto risolvere.
Non la razza, non la classe, ma il sesso sta all’origine dei rapporti di potere e di dominio nella società umana.
Per le femministe della seconda ondata, l’ultima barriera da superare era dunque quella della subordinazione sessuale, e il fine da raggiungere la libertà sessuale.
Le idee sono circolate rapidamente in tutte le aree nazionali: sono sbocciate nella richiesta di consultori femminili per affrontare i problemi sessuali, con l’estensione dei mezzi di contraccezione, di legalizzazione dell’aborto, ecc.
Negli anni Settanta, in Francia si afferma una delle formulazioni più importanti della teoria della differenza sessuale, destinata a influenzare anche il pensiero femminista italiano degli anni Ottanta. Tra le autrice francesi vi hanno preso parte: L. Irigaray (Speculum – 1974) , J. Kristeva, (Rivoluzione nel linguaggio poetico – 1974).
Tra le autrici italiane sono: Luisa Muraro, (L’ordine simbolico della madre – 1991); Adriana Cavarero (Per una teoria della differenza sessuale – in Diotima. Il pensiero della differenza sessuale – 1987).
La scommessa natale di Diotima è stata quella di fare filosofia in fedeltà a se stesse e al proprio essere donne, da ciò l’intento di pensare filosoficamente la differenza sessuale, rompendo l’universalità e neutralità con la quale il discorso filosofico si è presentato, pur essendo storicamente e simbolicamente l’espressione del soggetto maschile”.

La donna oggi
Dopo secoli di lotte, la donna può provare a cercare la strada per la sua libertà individuale?
È una libertà difficile per varie sfaccettature. Il binomio “lavoro – diritto di voto” non vuol dire sempre libertà, soprattutto se si pensa che, ancora oggi, l’inserimento della donna in determinati contesti lavorativi richiede sempre “un suo sforzo maggiore”.
La donna è ancora sottomesso a un sistema “apparentemente” paritario ma pregno di maschilismo. Soltanto per un ristretto numero di privilegiate l’attività lavorativa porta con sé l’autonomia economica e sociale ottenuta in modo dignitoso.
In Italia, la condizione è senza dubbio peggiorata: tante adolescenti, ragazze e donne sono pronte a tutto, per guadagnare denaro e “fama”, non rendendosi conto che in questo modo permettono a “quel tipo di uomo”, di insultarle e trattarle ancor di più come un oggetto!
La sintesi fra femminilità e libertà, fra femminilità e soggettività, è certamente ancora un problema aperto, nonostante le lotte affrontate e i tanti libri scritti.

La donna di oggi può decidere cosa vuol essere, e può ridefinire la sua condizione: i tempi lo permettono.
Nel ricercare una nuova identità, dovrà ridisegnare i rapporti con l’altro sesso che, da parte sua, può fare pari sforzo in un’ottica nuova di rapporti paritari.

Luciana E.                                                                                         uomo donna

 

 

 

 

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