C’era una volta: c’era una volta

Sono finito su youtube per cercare una canzone di Rabagliati (qualcuno ricorda chi è stato?): Bambina Innamorata. Un video scorre mentre Rabagliati canta: le pin-up di Earl Moran. Sono immagini glamour, se si dice così; e io, curioso come tutti i maschi e sfidando il rischio di irritare la reggente del sito, sono andato a vedere chi è l’autore, e ho scovato una serie di immagini, che vanno dal 1930 fino a non so quando, di ragazze semivestite o nude che ho trovato deliziose.
Ricordo di aver visto le immagini qualche volta, ma confesso che il nome dell’artista mi è sempre stato sconosciuto, così sono andato a cercare su Wikipedia e ho ottenuto queste informazioni: Earl Steffa Moran (Belle Plaine, 8 dicembre 1893 – Santa Monica, 17 gennaio 1984) è stato un illustratore statunitense; non si dice molto di più, occorre andare sulla versione americana per sapere altro.
Imparò l’arte dell’illustrazione grafica presso l’Art Students League a Manhattan dove fu allievo di maestri dell’epoca. La sua carriera come illustratore di cartoline e riviste fu lanciata dalla collaborazione con il gigante dell’editoria Brown & Bigelow negli anni ’40, dove fu affiancato da due altri grandi artisti: Zoe Mozert and Rolf Armstrong (tutti nomi a me sconosciuti)
Qua e là leggo che il fenomeno di queste cartoline si diffuse negli Stati uniti degli anni 40. Erano cartoline erotiche illustrate vendute dai distributori automatici a gettoni dei parchi divertimenti; disegni e non fotografie probabilmente per non incappare nelle maglie della censura. Protagoniste erano signorine in pose ammiccanti in un contesto ironico che stemperava le intenzionali pruderies con una presunta ironia che non celava l’erotismo.
Erano le Pin Up, (letteralmente “da attaccare al muro”), modelle riprese in contesti soltanto apparentemente innocenti ma il cui scopo era di far risaltare maliziosamente le forme femminili. Alla fine di quegli anni ’40, Moran iniziò a fotografare la più famosa di tutte: Marylin Monroe, che poco prima era soltanto Norma Jeane Mortenson Baker Monroe una ragazza dall’infanzia poco fortunata per le ripetute molestie sessuali subite sin da piccola. Prima di diventare l’attrice che tutti conoscono fu vivandiera in un orfanatrofio, operaia in una fabbrica di paracadute e infine – quasi per caso – modella.
Da quando le religioni si sono inventate i veti sul sesso è fiorita la rappresentazione dei nudi. Nessun decennio di questi ultimi venti secoli è stato esente dalla rappresentazione di corpi femminili: in pose innocenti, abbandonati nel sonno, sofficemente adagiati o seduti o in piedi, mentre fanno toeletta, coperti di veli o “come mentre fanno toeletta, coperti di veli o “come mammete t’ha fatto”.

Alcune sono soggetti biblici di quadri, come Susanna al bagno con i vecchi pomicioni che guardano, altre più maliziose come la Marylin qui a lato, altre erotiche decisamente, come la Maya desnuda. Insomma evviva la donna quando ha le “curve” e le fa vedere.
Non è necessario scomodare Freud per ricordare che aggressività e sensualità occorrono per tener bassa l’entropia, ritengo però che ci sia stato un tempo felice in cui la accattivante attrazione fosse un fatto del tutto naturale e non morbosa attenzione, forse prima che arrivasse qualcuno a bollare la donna come mano sinistra del diavolo, e un altro a proibirle di mostrarsi.
La circolazione clandestina delle immagini, e di conseguenza l’attenzione maschile ne hanno fatto pornografia: ma non c’è nulla come proibire per attirare l’attenzione.
Quando ero ragazzino, dal barbiere erano appesi i calendari con ragazze disegnate in pose di falsa innocenza, e che dire delle fotografie dell’800 con ragazze non certo belle ma nude, come a dire “basta che respira”…
Erano utilizzi della macchina fotografica che guardavano alla pornografia; e infatti circolavano clandestinamente, ma nelle intenzioni più o meno oneste dei fotografi erano spacciate come fotografie artistiche. Io ricordo, su una rivista su una rivista di storia di tanti anni fa (Historia), la foto delle (brutte) gambe della Contessa di Castiglione, fotografate da mezza coscia in giù. Ne ricordo un’altra utilizzata dalla propaganda del Regno d’Italia per screditare Maria Sofia, la moglie di Re Franceschiello, intenta a spassarsela con un bersagliere; era un fotomontaggio per distogliere la società nobile del meridione da possibili revanscismi borbonici.
E se è vera l’affermazione di Freud ecco spiegata la notorietà di queste cartoline o poster o fotografie che – anche grazie a una filmografia di genere – vediamo sullo sportello degli armadietti dei soldati americani, ma forse anche in quello dei soldati italiani se avessero avuto un armadietto, o sulle fusoliere dei bombardieri.
Una delle più note era Rita Hayworth – Gilda, il cui nome è legato alla bomba atomica in un macabro connubio fra amore e morte, ma ce n’erano altre, Betty Grable, la stessa Marylin, e Carole Lombard, e Jane Mansfield, e fate voi.
In America, ma non da noi, un’altra pin up era famosa, Rosie the riveter, legata però a necessità di guerra; era un invito alle donne a sostituire nei posti in fabbrica gli uomini che andavano a combattere. Una donna che faceva un lavoro maschile ma con l’astuccio della cipria nel taschino dei calzoni.

In un tempo come quello nostro, dove si pubblicizzano reggiseni che spingono in su, lingerie che oramai fa poco effetto e pannolini che assorbono togliendo ogni poesia, quelle cartoline illustrate fanno sorridere: rammentano l’erotismo “sano” e in qualche caso anche utile; poiché il mondo è così e la rivoluzione per raggiungere l’autentica parità fra i sessi è di là da venire concedere qualcosa all’immaginazione serve e sicuramente. E tralasciamo le ritrite battute sulle strumentalizzazioni del corpo: le signorine che si sono prestate a far da modelle potevano benissimo dir di no, per cui presumo senza troppa fatica che facesse piacere anche a loro esser fotografate per poi esser guardate.
Sempre con licenza della custode del sito che mi ospita, senza esagerare voglio proporre qualche altra cartolina che aiutava a rendere più vendibile un prodotto.
Tornate (chi può farlo per gentile concessione dell’età e della memoria) con la mente a quegli anni.
La Coca Cola era buona, aveva vinto la guerra e stava nelle mani di quei bei giovanotti Yankee che ci avevano liberato dal fascismo. Non c’era necessità di accattivante pubblicità giacché si vendeva da sola, però quella bella ragazzona con il reggicalze ben in vista…

E la Vespa? Il primissimo segnale di benessere proposto per le gite domenicali?

Con uno sforzo di memoria qualcuno riesce a rivedere i giovanotti e quelle signorine sedute dietro composte, con le gambe ben strette e non a cavalcioni? Qualcuno rivede la mano che teneva giù la gonna che svolazzava nel vento?
Io ero bambino e le vedevo passare sulla strada di Bellagio, con gli occhiali colorati e il foulard in testa.

Io credo che quelle cartoline, oltre che aver segnato un epoca, siano nell’immaginario collettivo tanto da esser usate ancora. Ho già detto che internet è la mia fonte di informazioni, e sfogliandolo mi è capitata sott’occhio una immagine di pin-up utilizzata per un manifesto dell’anno scorso. La riporto più che altro perché è davvero curioso il contesto nel quale è stata inserita: non pare anche a voi?
Oltretutto fa un invito a scioperare che – lo confesso – a me fa venir da ridere. Non so dire se mi son fatto prendere la mano dall’argomento e sono distorto nei pensieri, ma… a quale sciopero sono invitate le donne?
A quello?
Dai!
Per star serio, ma soltanto per un momento, metto un’altra immagine che credo sia degli anni ’50. Non ricorda qualcosa?
Ne ho parlato in un altro articolo di qualche tempo fa: Io e l’arte.
Sarà anche del segno dei Pesci, ma a me ha fatto tornare alla mente il quadro di Toulose-Lautrec La toilette, e forse era davvero quella l’intenzione.
Credo che i disegnatori vogliano proporci di non guardare soltanto al nudo, ma anche ai tempi che cambiano e perdono la patina di perbenismo. Negli anni ’50 il bikini fa la sua comparsa sulle spiagge, e sono così tanti in breve tempo che i Carabinieri faticano ad arrestare e i pretori a giudicare per offesa al pudore. Ecco allora che i soggetti ammiccano al mondo dell’arte e non soltanto a quello, forse per spingere a un diverso modo di giudicare i costumi e la moralità dell’epoca.
E allora, occhieggiando al benessere che la società a fatica sta raggiungendo, il calendario propone per il mese del carnevale una pin-up semivestita da moschettiere.

Credo che la mia reputazione abbia raggiunto il fondo del discredito, per cui non rischio nulla a proporre una cartolina più esplicita.
Del resto non intendevo fare uno scritto serio; nato da un caso si è sviluppato seguendo le immagini.
E fra le tante che ho sfogliato in internet ne ho trovata una che ora – in chiusura – mi permette di riagganciarmi a quel Moran col quale ho iniziato a scrivere sull’argomento.
È una fotografia di quella che ritengo sia la pin-up per eccellenza: Marylin Monroe.
Già moltissimi hanno parlato di lei sviscerando la sua vita in mille scritti e filmati.
Non vinse mai un Oscar ma è stata classificata come la sesta miglior attrice del cinema. Ha una stella col suo nome sulla Hollywood Walk of Fame ed è morta in circostanze che nessuno scoop postumo ha mai chiarito. Si è sposata con Joe Di Maggio e con Arthur Miller, è stata scandalosa, chiacchierata ma è un’icona.
Ritengo che la fotografia non sia un insulto alla memoria ora che non c’è più. Un omaggio a lei e a tutte quelle anonime pin-up che nel corso del tempo hanno sollecitato l’immaginazione dei maschietti salvandoli dai danni dell’Azione Cattolica (per dirla con Zucchero).

Erberto Accinni

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