C’era una volta: il prete

don abbondio

Ho sempre voluto credere che esista Dio, anche se non proprio quello dei cristiani. Da piccolo, mesmerizzato dalla religione, credevo fosse il Dio degli Ebrei, che è poi lo stesso dei cattolici, e lo pregavo.

Essendo figlio di cattolici andavo all’oratorio, che era sotto la conduzione di don Franco, e don Franco era un uomo che auguro a tutti di incontrare.

Un uomo: prete come tutti vorremmo che fosse il prete.

Un uomo che amava i bambini quanto – per quello che si legge dalle Scritture – li amava Cristo. Un uomo che ora voglio chiamare col sostantivo che gli spetta di diritto: sacerdote.

Io piccolo, vedevo gli adulti che ogni mattina andavano alla loro giornata con quel senso del dovere che oggi molti dicono che manca. Don Franco era un adulto vestito di nero, che spesso vedevi in giro per il quartiere diretto verso l’officio che aveva scelto: fare il sacerdote fra i suoi parrocchiani.

Aveva scelto: portare un intelligente e concreto aiuto. Era un adulto vestito di nero, ed è stato per noi piccoli quello che ogni adulto deve essere: un padre, mai autoritario ma autorevole, in grazia del suo sincero affetto.

Crescendo ho conosciuto altri preti, buoni e non, capaci e non; questo perché li ho misurati col criterio umano di “giusto e sbagliato” e avendo come termine di confronto Don Franco, senza spostare mai il ragionamento su un altro piano.

Ora che sono piuttosto cresciutello, penso che se non mi scaglio contro la “razza maledetta” è proprio grazie a lui.

Ho sentito dire una volta, con ironico disprezzo, che i preti non sono uomini. Io credo che lo siano, con tutti i difetti degli uomini, compreso quello di vendersi per quello che non si è.

La letteratura ci insegna che la prima critica ai preti viene dai cattolici. Nessuno è impietoso così moralisticamente quanto può esserlo un cristiano, peggio se cattolico. Basta vedere come è pennellato don Abbondio: una macchietta, caricatura di uomo e di prete.

Vedendo quanti don Abbondio in tonaca ci sono, è facile dimenticare i “veri preti” e avere disprezzo per quelli che – forti delle loro immunità – da secoli resistono a ogni critica. È facile fare un parallelo fra loro e Dio e non risparmiare critiche a entrambi.

È facile scadere nelle note ironie fra preti e suore, che sicuramente hanno del vero. Ma anche se dal cattolicesimo non viene il messaggio di conforto e di certezze che vorremmo, non trovo logico virare verso l’ateismo o l’agnosticismo; non penso che sia necessario rivolgersi al buddismo o allo scintoismo o vattelappesca cos’altro.

È prendere le distanze da un fenomeno che esiste, essendo sulla bocca di tutti; è rinnegare un “modus vivendi” col quale siamo cresciuti, e che abbiamo dentro così tanto da non saper concepire la vita senza questo filtro.

Forse è meglio imparare a conviverci, sfruttando qualcuna delle sue regole anche se non tutte, perché se leggiamo gli obblighi imposti dalla Chiesa, come ci alziamo al mattino già siamo in peccato; e forse Dio ha concesso il peccato proprio perché deve essere un po’ stufo di tutti i santi che ha vicino e che lo lodano sperticatamente.

Così basta saltare gli intermediari e rivolgersi direttamente al padrone di tutto il cocozzaro: Dio. Con buona pace di Marx, che nato e vissuto nel cristianesimo, ne ha poi preso le distanze assegnando alla religione il valore di “presupposto di ogni critica”.

 La Chiesa ci ha rifilato un insegnamento: Dio è creatore di tutte le cose, visibili e invisibili. E noi siamo un miscuglio di cose visibili e invisibili. Mi piace pensare che non esista il libero arbitrio, e che pregi e difetti dipendano da quello che Lui ha scritto nel Grande Libro (che poi è il destino di ciascuno). Non dovrebbe esserci merito né demerito in quello che siamo, essendo tutto stabilito da illo tempore: per questo forse Cristo ha amato anche Giuda, seppur gli debba esser costato un tantino; perché ha fatto quello che doveva e non ha avuto scelta.

Qualcuno può obiettare che per Cristo è stato facile, giacché sapeva in anticipo il contenuto della sua pagina; io mi fermo qui, “scusandomi col dir non lo conosco”.

Se lo vedo come uomo, devo fargli tanto di cappello. Se lo penso figlio di Dio, trovo difficile crederlo nato da vergine, sceso sulla terra per la redenzione degli uomini a rinnovare l’antico patto fra Yahveh e Abramo; mi pare una favola, anche se è il costrutto del cristianesimo.

Qui occorre che mi fermi per non dire castronerie. Questo entrare e uscire dal divino non è materia mia. Mi piace considerare Cristo personaggio storico, vissuto e morto come sappiamo. Mi piace credere che amasse e andasse in collera, come ogni uomo degno di tale nome, ma la mia è una visione parziale, sono uomo e ragiono da umano, per ciò che è visibile e che c’è. Tento a volte incursioni nell’invisibile ma ancora e sempre con ragionamenti da uomo; non conoscendo granché di spirituale non so quanto siano valide.

Oggi penso che sarebbe bello se i preti fossero come gli eroi: senza macchia né paura. Ma non li ha creati Dio, li hanno inventati gli uomini, partendo dall’inoppugnabile assunto che il prete è il suo ministro, una specie di luce guida che il Padreterno ha sparso fra noi.

La storia ci dice che non è così. Preferisco considerarli uomini, con un mestiere diverso da quelli abitudinari. Uomini come me con una funzione diversa: “promemoria” di Dio, e non credo saggio giudicare Dio per l’operato dei suoi sedicenti ministri.

Non sono più indegni di altri in borghese, che rubano, fornicano, mentono e quant’altro. Posso non fidarmi di loro, ma come non mi fido di altri quando non è il caso; però a volte mi piace credere che l’onorevole sia onesto, e che il cappello non serva soltanto per nascondere le corna.

Predicano bene e razzolano male? E chi non lo fa. Provo a pensare che “loro” siamo “noi”, che è farisaico prendere le distanze. Se li condanno allora siamo tutti da condannare, il che equivale a dire che siamo tutti da assolvere, perché in definitiva facciamo quello che è scritto nel Grande Libro.

D’altronde, come ho già detto, per evitare i rincari degli intermediari basta andare a comprare le uova dal contadino. Nel caso in argomento è più facile: posso parlare con Dio seduto in poltrona, senza dover andare per forza in campagna a discutere col villico.

Il prete non mi impartisce i sacramenti perché ho mancato al giuramento fatto a Dio? Ma dai! Sono e resto suo figlio comunque; se decide di parlarmi non lo dice al prete, ma a me!

Se mio padre – uomo – perdonava le ragazzate, perché Dio non dovrebbe? Scherziamo?

 Avreste dovuto vedere don Franco il giorno prima del venerdì santo, quando, passando dietro la sacrestia, Ugo ed io ci attaccammo alla corda delle campane e le facemmo suonare annunciando la risurrezione prima del tempo. Ci tirò letteralmente giù dalle corde, poiché per il poco peso salivamo alti (questo era il divertimento di noi bambini); si spazientì di sicuro, perché gli avevamo mandato in vacca la festa di tre giorni dopo, ma tenendoci per mano ci portò in oratorio. Non ci fece prediche e non ci obbligò a recitare atti di contrizione. Ci portò in oratorio a giocare.

Da allora, ma senza saperlo per parecchio tempo, ho percorso i sentieri del libero pensare; tanto libero da perdermi dentro le fregnacce che penso; tanto perso da non sapere più dove cercare la verità, a volte.

Mi resta il ricordo di una predica: Se ci riusciremo a dialogare con Dio smuoveremo le montagne. E forse saremo – concettualmente – tutti preti (e suore, non scordiamo la par condicio!); che poi è quello che sosteneva Lutero, cristiano e cattolico pentito.

Erberto Accinni

 

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