C’era una volta: la lettera

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Oggi si fa presto a dire ti amo, ma c’era un tempo in cui il mondo andava più lentamente e i sentimenti duravano di più, dando l’impressione di essere più sentiti. Con le poste, male endemico italiano rimediato soltanto recentemente ma non definitivamente, una lettera impiegava tre-quattro giorni ad arrivare.
La posta, tempo fa, si aspettava con trepidazione; oggi con paura, atteso al fatto che scrivono lettere soltanto l’Agenzia delle Entrate, gli avvocati e le banche.
Il nostro, che trepidante con carta e penna si era sforzato di trovare parole adeguate a raffigurare il suo sentimento alla innamorata, doveva attendere la consegna della posta, aspettare che fosse letta, e infine stare in smaniosa attesa della risposta; un totale di una settimana più o meno: una settimana sana sana, durante la quale il sentimento prendeva una struttura pari alla fede incrollabile del prete per il proprio Dio.
Poi occorreva il tempo all’amata di leggere, e rileggere, e bagnar di lacrime di gioia lo scritto; bisognava attendere che quella emozione attecchisse bene nel cuore, e lì restasse perché i genitori nulla dovevano veder trasparire. Infine, la sera, la predestinata in questione rispondeva con parole altrettanto ricercate e sincere, e l’indomani spediva la lettera.
Col cuore in subbuglio da una settimana, il nostro coniglietto finalmente poteva leggere, sentirsi fuori come un terrazzo, vedere il mondo nella sua bellezza, e infine rispondere che non era soltanto innamorato, ma ardente di un desiderio puro come il manto bianco che l’amata avrebbe indossato il giorno del sì. E i fidanzamenti duravano, almeno il doppio di quelli odierni.
Si basavano sull’adorazione degli occhi, sulla gioia delle mani strette con le dita intrecciate, sul desiderio di bocche da baciare, sui silenzi e le frasi mormorate nel buio dei portoni: dai, rileggetevi Prevert.
Cerchiamo di capire: una settimana di attesa rende cara qualsiasi cosa! Ma fa anche di più: crea in te il convincimento che nulla e nessuno sia più importante; assorbe il tuo tempo; “amor ch’al cor gentil ratto s’apprende” si radica così tanto da far durare la cosa per un tempo infinito perché, come sappiamo, il desiderio dilata i tempi così tanto da far sembrare ore i minuti.
Senza scomodare Einstein, gli innamorati avevano inventato la teoria della relatività; però non sapendolo la chiamavano amore.
E non è tutto, c’era anche un amore commerciale. Le lettere che le ditte si scambiavano non cominciavano con “gentili signori”? Non parliamo degli Inglesi che sconfinavano nell’adorazione: “dear sirs”, esattamente come Tom che scriveva “my dear Clementine”. Questo forse indicava che c’era una volontà precisa di fare affari col cuore? Non lo so, erano tempi in cui le cose si facevano con una serietà diversa, che sconfinava nella cordialità; adesso tutto questo avrebbe un sapore decisamente farisaico.
Oggi vedo scritto sulla soglia di un caseggiato che Franci è meravigliosa, che Tony la ama da impazzire e mi viene qualche dubbio. Era così bello scrivere e dire il nome intero: Francesca. Se ne gustava – grazie a reminiscenze letterarie – tutto il sapore, e la voce si addolciva nel pronunciarla tutta. Antonio poi era un nome di un certo peso: non era forse Antonio che aveva tradito Roma per Cleopatra? Insomma, Francesca e Antonio avevano uno spessore che li rendeva credibili nel dichiararsi privatamente. Franci e Tony lo sono altrettanto? Riuscirà il loro grande amore (grande perché unico come tutti quelli degli innamorati), strombazzato a cani e porci, a durare fino all’uscita nelle sale del prossimo film di Brad Pitt? E durerà ancora, dopo che il film sarà uscito dalle programmazioni per diventare un dvd?
Già perché una volta i film passavano dalla prima visione alla seconda, e poi alla terza; oggi diventano dei dvd. Io andavo al cinema con la ragazzina di turno e mi baciavo per un’ora e mezza, perché non c’erano altre occasioni per farlo. Oggi si guarda il film prendendo i pop corn da un bicchierone e ruminando per tutto il tempo. Ma questa – ancora una volta – è un’altra storia.
E infine: l’amore è diventato un sentimento usa e getta? Una sorta di isteria che si sfoga soltanto nella pace dei sensi da consumare rapidamente e in giovane età?
Io penso che si faccia un uso volutamente sbagliato delle parole. Crozza a Sanremo per rabbonire i contestatori li ha chiamati amici. Amici, sì! Ha ridotto un sentimento – che unisce le persone per anni in un profilo morale di valenza indicibile – a un occasionale incontro di mezz’ora, senza alcun altro obbligo di frequentazione per approfondire. Una forma pratica di captatio benevolentiae.
Così Tony, che con un paio di sms ha sancito l’eternità del suo sentimento, per rafforzare il suo impegno dichiara pubblicamente con lo spray che Franci è meravigliosa e per questo la ama: dopo due sms, e con una bomboletta!
La propria emozione più è rappresentata in modo originale, più è vera. È una necessità talmente tanto necessaria, che alla fine l’originalità resta la sola testimonianza degna di fede per certificare la sacralità di quello che si prova.
E quando uscirà il nuovo film di Brad Pitt, Tony lo andrà a vedere con Franci o con un’altra meravigliosa?
Il mondo va in fretta, non ho capito bene dove, ma so per certo che ci va in fretta.
Le mail ci informano rapidamente che la riunione fissata per oggi alle quindici è spostata a domani; nessun “cari colleghi” di incipit, soltanto un “informo tutti che…”. In fondo è una riunione, vogliamo anche metterci del sentimento?
Gli sms informano Tony che la meravigliosa Franci non lo ama più.
Juons mal, mais jouons vite!
E l’amore? Questo esasperato termine usato spesso a sproposito?
Ci resta davvero come ultima consolazione il pensiero che il solo amore immarcescibile è quello della madre per i figli, e ogni altro suo apparire è pari all’impronta del piede sulla battigia?
Si? E l’ultima partoriente che ha messo il neonato nella lavatrice?
E la mamma che difende il suo Luca dalle angherie della maestra, che gli dà un quattro perché non studia; che produce compiacenti certificati medici a giustificazione dell’impreparazione della figlia? Quali di queste mamme ama di più? Di amore puro, intendo.
E noi? Noi tutti? Vogliamo continuare a raccontarci che sappiamo amare?
Va bene. Siccome il nostro amore è unico, lo dobbiamo esprimere come merita. Con l’originalità dei tempi moderni, adeguata a far comprendere quanto è pazzesco.
Dai, facciamolo con una bella lettera.
Cazzo Franci, sei una figa da sballo e ti amo da impazzire. Bevo una birra e ti vedo nel fondo del bicchiere.
Era una Ceres e l’ho bevuta tutta d’un fiato, così per vederti ancora ne ho dovuta prendere un’altra, e poi un’altra ancora e alla fine ti vedevo in tutte le lattine. Minchia Franci, mi sei costata una cifra. O me la dai o fanculo.
Però qualcosa del genere accadeva anche in passato. Quand’ero bimbo, mia madre mi raccontava una storiella che mi faceva molto ridere.
In un paese del bresciano, un tale si era proposto a una compaesana che nicchiava nell’accettare la sua corte. Un giorno, spazientito, le si era rivolto così:
– Guardami negli occhi! non leggi amore, brutta bestia?

Erberto Accinni