C’era una volta: Caporetto

Un certo revisionismo storico l’ha definita una tragedia annunciata, ma anche una tragedia tutta italiana che si ripresenta ciclicamente nel cielo della nostra nazione e come tratto distintivo della gens italiana.
Nei libri sull’argomento leggeremo cose incredibili: che l’alto comando italiano da almeno un mese conosceva i piani di attacco tedeschi e non li aveva creduti, prendendo blande contromisure. Che il generale Cadorna, comandante dell’esercito, scaricò la responsabilità sui fanti accusandoli di viltà davanti al nemico, poco prima di essere destituito.
Che Badoglio, uno dei più grandi responsabili della disfatta, non soltanto non pagò ma da quella disfatta trasse la sua fortuna.
Io credo che ci sia anche un’altra verità. Dopo due anni e mezzo di combattimenti sanguinosi, che non avevano dato i risultati sperati essendo avanzati di pochi chilometri con grossi sacrifici in termini di perdite umane, credo che l’esercito italiano abbia avuto una crisi di identità. Cosa importava al fante del meridione (che soltanto da 50 anni si considerava italiano) di andare a difendere un confine che nemmeno conosceva.
Non credo che ci sia mai stato un carattere italiano (se eccettuiamo l’impronta pessimista e fatalista indotta dalla religione cattolica). Dalla caduta dell’Impero Romano, l’Italia è sempre stata terreno di conquista, frazionato in tanti stati e staterellli soggetti a leggi a volte diverse fra loro e quindi mentalità diverse. Creare uno stato unitario non è stato uno scherzo, dato che nemmeno oggi c’ è.
Se il nord Italia ha potuto affrancarsi prima, lo deve alla vicinanza alle idee “diverse” provenienti da oltralpe, mentre da Roma in giù – colpevole l’arretratezza e l’ignoranza tanto care alla chiesa cattolica – c’è sempre stato un blocco di pensiero e costumi e mentalità tali da toccare con mano la miseria umana e il pessimismo.
Mischiare cultura e arretratezza non è stato facile, come spiega bene il costante fenomeno dell’emigrazione, caratteristico del regno unitario fino ai giorni nostri.
Se nel nord già da fine ottocento si sperimentavano sistemi economici diversificati, nel sud si era rimasti legati al latifondo.

Nemmeno ora siamo italiani, come si può costatare da regioni a statuto speciale, e regioni con istanze di autonomia in corso.
La richiesta che da più parti si leva è di riconoscere ogni singola realtà regionale e di vederne il valore da regolamentare con leggi specifiche, che premino le diverse caratteristiche e individualità.
Caporetto fu questo, la constatazione dell’ingiustizia che si perpetuava anche nel momento del massimo bisogno della patria: l’operaio nelle fabbriche pagato 7 lire al giorno perché utile allo sforzo bellico e il fante pagato m犀利士
ezza lira per morire fra sofferenze e trattamenti inumani.
Ma non soltanto: la retorica di sostenere che il fante in trincea era ben pasciuto e ben coperto mentre nelle città industriali si pativano privazioni per dare cibo e conforto ai combattenti, che tutto sommato non se passavano così male.
Fu un rifiuto, a mio parere, un esasperato rifiuto da parte di un esercito sacrificato, non riconosciuto nelle sue individualità e mandato al macello per due anni e mezzo, e infine accusato di viltà davanti al nemico.
Fu l’amara verità di una nazione che non si vedeva unita nella sofferenza della guerra, nella quale i sacrifici erano molto dispari. Ma soprattutto fu l’assenza di uno “spirito italiano” che fece venir meno la fede patriottica: la nazione italiana esisteva soltanto sulla carta, giacché i soldati erano per la maggior parte prelevati dal ceto contadino e poco dalla classe operaia; che spesso nemmeno si capivano fra loro non avendo – in molti casi – nemmeno una lingua comune, per non parlare di cultura, educazione e istruzione.
Eppure, questo eterogeneo popolo, guidato dopo Cadorna da un generale più comprensivo della situazione, seppe ritirarsi, riorganizzarsi e accettare nuove costrizioni fino al momento del balzo finale dal Piave a Vittorio Veneto.
Carattere italico che esce nel momenti di massimo pericolo?
Non ho una risposta, non ancora; ma gli Italiani sono anche quelli del miracolo di San Gennaro e della sofferenza che a volte premia, della fantasia, della fede e del coraggio di tutti i giorni, un eroismo mai riconosciuto da alcuno.
Complice anche un esercito austro-ungarico che si andava sfaldando, riuscirono a ribaltare una situazione apparentemente persa.
Un’ultima considerazione sugli Italiani di Vittorio Veneto che non erano più gli stessi di Caporetto: i Comandi furono avvertiti che le ostilità dovevano cessare il 4 novembre, ma ebbero anche l’odine di spingersi più avanti possibile per occupare il territorio che il nemico cedeva, perché il momento della resa li vedesse “insediati” in territori conquistati e divenuti italiani per diritto di conquista.
Una carta da calare furbescamente sul tavolino della pace; e anche questa è una caratteristica italiana, anche se alla fine non valse molto e fece amaramente discutere di una vittoria “mutilata”; ma questa è un’altra storia ancora.

Erberto Accinni

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