C’era una volta: l’inflazione – 3

euro

Durante la seconda guerra mondiale, l’economia nazionale ebbe un duro colpo: si combatteva in gran parte della penisola e il Paese era diviso e occupato da forze straniere.

L’inflazione aggravò la già pesante situazione dell’Italia repubblichina fra il 1943 e il 1945: oltre alla perdita di valore della moneta per cause belliche, la Repubblica di Salò dovette affrontare i costi del mantenimento delle truppe tedesche di occupazione.

La lira, al termine della seconda guerra mondiale, era un quinto del valore prebellico; le istituzioni e la Banca d’Italia vissero brutti momenti. Furono instaurati regimi commissariali nel paese diviso ormai in due, ma soltanto dopo la nomina di Luigi Einaudi a Governatore si gettarono le prime basi per un ritorno alla normalità.

Le banche non ebbero difficoltà grazie alla precedente riforma, ma preoccupante era la situazione dell’inflazione, che riprese a galoppare alla fine del 1946.

Tra il 1945 e 1948 fu realizzato il risanamento monetario. Quattro furono i punti toccati.

1)      fu nominato il CICR – Comitato Interministeriale del Credito e del Risparmio, al quale fu demandato l’onere di variare il coefficiente di riserva. La riforma evidenziava la volontà di porre fine all’inflazione e questo fece leva sulle aspettative, cosicché l’ascesa dei prezzi venne stroncata.

2)      Fu posto un limite al finanziamento dello Stato.

3)      Nel 1946 l’Italia partecipò agli Accordi di Breton Woods. Fu creato l’Ufficio Italiano Cambi che avrebbe dovuto gestire le transazioni valutarie internazionali.

4)      La Banca d’Italia divenne Organo di Vigilanza. Nella costituenda Costituzione, all’art. 47, fu prevista la tutela del risparmio e la Banca D’Italia operò creando i presupposti perché la crescita economica fosse possibile senza inflazione. Fino agli anni cinquanta l’Istituto Centrale fu anche un mezzo importante per ottenere e gestire gli aiuti internazionali che consentirono all’Italia di avviare un piano di ricostruzione.

Negli anni Sessanta l’inflazione si ripresentò e diventò galoppante: le cause furono attribuite alla quadruplicarsi del prezzo del petrolio e fu necessario intervenire con misure restrittive che diedero però coscienza di quanto le economie della società moderna dipendessero dall’oro nero.

Negli anni Settanta si verificò un fenomeno cui gli studiosi diedero il nome di “stagflazione”, caratterizzato da una elevata inflazione e una elevata disoccupazione.

Grazie alla forza contrattuale dei sindacati aumentarono gli stipendi degli operai, e la conseguenza fu l’aumento del costo della vita, giacché gli industriali dovevano comunque mantenere gli utili nonostante gli aumenti dei costi della manodopera.

L’economia italiana dovette affrontare due problematiche: da un lato la necessità di incrementare i prezzi dei prodotti per coprire i costi della manodopera, e dall’altro la necessità di abbassarli per restare concorrenziali nell’esportazione di beni che avevano successo all’estero proprio per i costi contenuti.

La decisione finale fu comprimere i prezzi, e dopo un periodo in cui l’Italia era stata in crescita si verificò un periodo di depressione. Gli investimenti ebbero una contrazione che comportò la crescita del debito nazionale; l’aumento della disoccupazione determinò la perdita della forza contrattuale dei Sindacati.

Le politiche adottate furono lo “stop and go” (frena e via). Il sistema economico attuava per un certo periodo uno “stop” con politiche restrittive per contenere l’inflazione, e in seguito un “go” con politiche espansive per il rilancio della produzione e dell’occupazione.

Negli anni Ottanta, l’Italia era considerata la quarta potenza industriale del mondo dopo l’America, il Giappone e la Germania, ma il divario fra nord e il sud dell’Italia era sempre molto evidente, come lo è oggi.

In questo periodo l’inflazione era uno strumento per consentire alle imprese italiane di esportare, e lo Stato intervenne a sostegno del cambio fisso con il dollaro, per non svalutare ulteriormente la lira.

La Banca d’Italia, in quel periodo fu l’anima dell’economia italiana. Ciampi, allora governatore, adottò politiche economiche che si distaccavano da quelle del governo, ma che permisero di raggiungere stabilità monetaria grazie anche allo Sme, di cui l’Italia faceva parte.

Lo sforzo che seguì per poter controllare il sistema monetario, fu l’emissione di Bot insieme alla costruzione di un funzionale mercato interbancario dei depositi, che diede origine a un vero e proprio mercato monetario: nel 1987 il tasso di inflazione era del 4,7 per cento.

Nel febbraio del 1986, con l’approvazione dell’Atto Unico Europeo da completare entro il 1992, si stabilirono le tappe del processo volto all’abolizione delle barriere che ancora dividevano i mercati dei paesi membri della Comunità. Nel febbraio 1992, si giunse alla firma del Trattato di Maastricht, che è alla base della moneta unica europea e del Sistema europeo delle banche centrali.

Il fenomeno inflazionistico fu ridimensionato negli anni Novanta: dopo la ripresa dell’inflazione al 6,5%, a causa di problemi strutturali che il Paese non aveva ancora risolto, divenne preoccupante il disavanzo delle partite correnti e diminuirono gli investimenti.

Molti dei risultati raggiunti nel tempo furono vanificati dall’entrata in vigore in Italia dell’Euro; in particolare si incentivarono speculazioni da parte di fornitori, commercianti, professionisti, enti pubblici, generando un rialzo dei prezzi, specialmente nel settore agro-alimentare, che andava a pesare sui percettori di reddito fisso.

Anche altre voci: assicurazioni, trasporti ed energia finirono per affliggere il cittadino-consumatore in tutti i suoi aspetti giornalieri.

 Dal 1999 l’Italia non svolge più una politica monetaria autonoma, che è diventata di competenza della Banca Centrale Europea, la quale ha per Statuto il mantenimento di un tasso di inflazione inferiore al 2% annuo.

Nel 2008 i grandi aumenti dei prezzi delle materie prime, dei prodotti alimentari e dell’energia hanno fatto salire l’inflazione in tutto il mondo, che in Italia è arrivata al 3,3%, per poi crollare drasticamente allo 0,8% l’anno successivo a causa della crisi mondiale. L’inflazione al consumo è stata pari all’1,6 per cento nel 2010 mentre ha raggiunto il 2,7 per cento a marzo 2011.

In Italia, l’inflazione media – da gennaio 2012 a novembre 2012 – è stata uguale al 3,1%; stesso valore è stato registrato nel periodo novembre 2011 – novembre 2012 e dicembre 2011 -novembre 2012.

Il tasso d’inflazione medio annuo comunicato dall’Istat per il 2013 è stato dell’1,2%. A contribuire sono principalmente i prezzi dei prodotti ad alta e media frequenza di acquisto. Minimo risulta, invece, il contributo dei prezzi dei prodotti a bassa frequenza di acquisto.

La Banca Centrale Europea ha tagliato il costo del denaro al minimo storico; motivando la decisione, Draghi ha spiegato che le stime dell’Eurotower sono “per un prolungato periodo di bassa inflazione”, e altrettanto “prolungato” sarà il periodo nel quale i tassi resteranno bassi, senza escludere il fatto che potrebbero scendere ancora, facendo immaginare un periodo di deflazione.

L’inflazione accertata per il 2014 sale allo 0,2%, dallo 0,1% di febbraio. Rispetto a marzo 2013, i prezzi dei beni diminuiscono dello 0,3% (era -0,1% a febbraio) e il tasso di crescita dei prezzi dei servizi scende all’1,0%. È bene osservare che il fenomeno di diminuzione dei prezzi si verifica di rado e coincide generalmente con fasi di profonda recessione.

 Abbiamo visto che sono molteplici le cause dell’inflazione, che può derivare da un eccesso di domanda, quando la domanda globale supera le capacità produttive del sistema. In un sistema di piena occupazione delle risorse disponibili, ogni incremento determina uno scarto inflazionistico fra domanda e offerta, cosicché l’incremento si tramuta in un aumento dei prezzi per colmare il divario. In caso di eccesso di domanda, il Governo di un Paese dovrà adottare interventi di politica economica che comprimano i consumi in modo da ridurla: in che modo? ad esempio con un aumento del prelievo fiscale.

L’inflazione da costi è l’aumento dei prezzi dei fattori produttivi (capitale e lavoro) e delle materie prime. Facciamo qualche esempio:

Se l’aumento degli stipendi non è supportato da un aumento della produzione, gli imprenditori sono indotti ad aumentare i prezzi di vendita dei beni, in modo da lasciare inalterato il loro margine di profitto.

Se l’Italia importa una grande quantità di petrolio, l’aumento del suo prezzo comporterà una crescita dei costi di produzione, e quindi dei prezzi dei beni finiti.

In conseguenza, se l’inflazione deriva dal rialzo dei costi di produzione, il Governo di un Paese dovrà adottare la cosiddetta politica dei redditi: in che modo? ad es. con il blocco dei salari per ridurre il costo del lavoro.

 Qual è la situazione in Italia oggi?

a)      I prezzi sono aumentati in diversi settori, senza un preciso ordine (ben oltre il dato ufficiale) e l’ingiustizia sociale è aumentata. Qualcuno è diventato più ricco e qualche altro è decisamente più povero… gli oneri fiscali sono triplicati; molte imprese hanno chiuso o sono fallite, la disoccupazione dilaga ed è preoccupante, perché non vi è reddito da spendere;

b)      Poiché le banche faticano a concedere prestiti in assenza di garanzie idonee, siamo bombardati da spot pubblicitari che stimolano all’indebitamento o che propongono agli anziani la cessione del quinto della pensione per aiutare i figli; gli anziani sono gli unici soggetti con un reddito sicuro (ancora per poco!);

c)      Molti si chiedono se uscire dall’euro non sia la soluzione migliore; ci pare però che difficilmente possa esserlo giacché i prezzi non tornerebbero mai ai livelli del 2001: non dimentichiamo che il rapporto tra la lira e le altre valute era negativo e si era proceduto più volte alla sua svalutazione;

d)      I governi che si susseguono cercano di attuare riforme che sono ostacolate da esponenti dello schieramento politico opposto. Se in altri momenti storico-politici è il modo migliore per tener viva la democrazia, oggi è solo un ostacolo e un blocco a riforme che potrebbero essere invece intraprese. Nessuno vuole rinunciare al proprio prestigio, e la spesa pubblica si mantiene ai massimi livelli storici;

e)      L’atteggiamento dei percettori di reddito basso è molto cauto, per la fatica di arrivare alla fine del mese. Chi ha debiti deve fare salti mortali per rimborsarli. Alcuni non sono nelle condizioni di poter risparmiare, altri rinunciano ad acquistare beni per accumulare risparmio in previsione di periodi anche peggiori dell’attuale;

f)       Lo Stato non può fare investimenti perché il debito pubblico aumenta, travolgendo le speranze dei politici di mantenerlo nel parametro del 3% imposto dall’U.E.;

g)      In televisione siamo bersagliati da programmi e “opinionisti” che danno “in… sensate” risposte alla crisi attuale: sono irritanti, ma quello che è veramente fastidioso è la loro consapevolezza di dire utopie od opinioni senza le necessarie competenze economiche. Oggi “tutti possiamo – con saccenza – improvvisarci opinionisti”, giacché per la “opinione” non è previsto alcun corso di laurea.

 L’inflazione è un problema economico che i politici tentano di tenere sotto controllo con scarso esito. Ci chiediamo: dove sono gli economisti? Cosa consigliano di fare?

Luciana E.              Erberto A.

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