Gli anziani in casa

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Oggi, quasi in ogni famiglia, c’è il “problema” dell’anziano. Ho scritto problema perché la gestione di una persona che ha superato i “novant’anni” non è facile. Se il familiare è in discreta salute si può considerare più semplice, ma parliamoci chiaro, è sempre una persona che non ha più le capacità motorie che aveva “una volta” e i sensi sono molto, ma di molto assopiti. Lo vedo con mia madre che ha la veneranda età di 94 anni e, anche solo ieri, lamentava di non poter fare tutto quello che il suo cervello pensa fare: mi parlava dei suoi limiti fisici.
Prendersi cura di un anziano è veramente un impegno, la propria vita deve essere “tarata” alle esigenze di chi è avanti con gli anni con patologie croniche o addirittura con la demenza senile.
Dicevo che se sono sani, li si gestisce abbastanza bene; quando sono malati o la malattia progredisce con gli anni (es.alzheimer , parkinson) le esigenze sono diverse, e il carico di lavoro in aumento proporzionalmente al progredire della malattia.
Naturalmente anche i costi economici (diretti e indiretti) sono diversi e mettono a dura prova l’equilibrio di chi se ne prende cura e dell’intero nucleo familiare.
L’Italia è un Paese in cui, nell’ambito della famiglia, ancora oggi è la donna/moglie a prendersi cura del malato, divenendo così la dispensatrice di cure primarie, tra assistenza e sorveglianza. L’intensificarsi della sua presenza è correlata all’aggravarsi della malattia, fino a quando diventa indilazionabile il dilemma se collocare l’anziano in un ospizio o affidarlo a una badante.
Non sono scelte facili: attivano meccanismi che compromettono gli equilibri raggiunti. Non scordiamo poi che anche l’anziano è restio; d’altra parte con i figli ha rapporti confidenziali e si permette lamenti e atteggiamenti qualche volta discutibili che ad altri non manifesterebbe mai.
È anche vero che chi cura l’anziano fatica a mettere il proprio caro nelle mani di un estraneo (al quale “non importa nulla di lui”); a volte prova sentimenti di orgoglio (“come lo curo io non lo sa fare nessuno”), e non tralasciamo il sentimento di colpa (“mi sembra di abbandonarlo”) che lo assalgono quando ne parla con altri sempre pronti a dare giudizi (che critiche avranno nei miei confronti? La figlia o il figlio che lascia il genitore in una casa di riposo! Non si fa! È indegno!).
Per carità, siamo pronti a spendere per medicine e altro (nonostante i costi rilevanti): spesso per assistere l’anziano si decide di lavorare part time, altre volte si lascia il lavoro.
Secondo uno studio dell’Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano, il 34% degli italiani con un familiare in stato vegetativo rinuncia a lavorare, in maniera temporanea o definitiva, per poterlo accudire.
E le problematiche investono anche la famiglia: nel 32% dei casi, la presenza di un congiunto con disordine della coscienza, è causa di grave difficoltà economica, aggravata da crisi di coppia e familiari.
Sempre nello stesso studio, il 14% dei pazienti assistiti, nell’arco di due anni passa dallo stato vegetativo a quello di minima coscienza o da quest’ultima alla gravissima disabilità.
L’assistenza al malato comporta una modifica forzata degli equilibri personali e sociali; i nuovi ritmi e bisogni mettono a dura prova l’entourage familiare; in alcuni casi, si è costretti a ricorrere ad ansiolitici e antidepressivi.
Se il paziente è colpito da demenza senile, il problema diventa di natura emotiva; poiché il paziente non riconosce chi lo cura, per lui è la stessa cosa se l’accudimento è affidato a estranei o al familiare.
Un altro problema è la qualità del legame che li unisce, che fino a quel momento era inossidabile.
Le difficoltà aumentano quando le figlie non convivono col genitore malato; sono prese da una “ sindrome da compassione” che le obbliga a offrire dedizione costante. Col passar del tempo, questa crea stanchezza e sovraccarico di responsabilità, con ricadute negative sul piano psicologico.
Le emozioni sono vissute in forma complessa durante tutta la malattia, sia col malato sia con la propria famiglia, che spesso non aiuta ma fa pesare l’assenza.

Sono principalmente le donne che si dedicano all’assistenza di familiari malati; in altri Paesi vi è un maggior intervento da parte dello Stato con la creazione di strutture pubbliche.
Nel nostro Paese l’intervento pubblico riguarda precipuamente il sostegno economico, anche se questo è comunque inferiore a quello di altri Paesi europei.
L’Ocse ha riscontrato che l’assegnazione di benefici in denaro ai singoli pazienti ha ripercussioni negative sulla regolamentazione del mercato. Per l’Organizzazione, serve un approccio più trasparente e coordinato a livello nazionale, affinché i cittadini più anziani possano scegliere sul mercato i servizi che prediligono.
Non dobbiamo dimenticare che la società, oggi, è per lo più costituita da anziani che abbisognano sempre più di assistenza e di cure, delle quali si fanno carico le persone di famiglia in modo spontaneo e gratuito.
È un quadro molto pesante: a livello governativo non vi è intenzione di mettere le mani alla spesa pubblica, di erogare più denaro a queste categorie e dare un taglio netto alla burocrazia dei moduli, che monopolizza in modo esasperato anche la richiesta di semplici pannoloni per chi è incontinente.
Il Comune di Milano, al seguente link, dà la possibilità di entrare in contatto con il settore “Anziani” e con tutti i servizi di cui si fa promotore.

https://www.comune.milano.it/portale/wps/portal/CDM?WCM_GLOBAL_CONTEXT=/wps/wcm/connect/ContentLibrary/Ho%20bisogno%20di/Ho%20bisogno%20di/Sostegno%20e%20assistenza_Per%20Anziani_Servizi%20per%20anziani

Per gli altri, il suggerimento è di rivolgersi al proprio Comune tramite le ASL, per richiedere tutti i servizi di cui sia possibile l’attivazione: sono servizi pubblici e privati, a volte rimborsabili, come ad esempio il trasporto gratuito del paziente con ambulanza per visite mediche programmate, comunicate e autorizzate in precedenza.
Un appello particolare mi sento di farlo a tutti coloro che hanno bisogno di badanti: vedo negli annunci internet, e nei giornali, che si richiedono badanti “non italiane”: è vero che gli italiani si sono montati la testa…non dimentichiamo che anche gli italiani hanno bisogno di lavoro e che sono stati i primi a prendersi cura dei propri familiari ammalati, non dovevano arrivare gli stranieri ad insegnarci come prenderci cura dei nostri cari! Basta con le discriminazioni verso le… italiane!

Luciana E.

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