Hannah Arendt

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Hannah Arendt è nata da una famiglia ebraica a Linden nel 1906. È stata una filosofa, storica, scrittrice tedesca naturalizzata statunitense. All’Università di Marburgo fu studentessa di Martin Heidegger, al quale fu legata sentimentalmente; quando scoprì che era un simpatizzante del nazismo, chiuse la relazione e si laureò a  Heidelberg  con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino, sotto la tutela del filosofo Karl Jaspers.

A causa delle sue origini ebraiche non poté mai insegnare in Germania, anzi dovette trasferirsi in Francia, dove si prodigò per gli esuli ebrei della Germania nazista.

L’invasione tedesca (e conseguente occupazione) della Francia durante la seconda guerra mondiale e la successiva deportazione di ebrei ed ebree verso i campi di concentramento tedeschi, unitamente alla sua breve carcerazione, contribuirono a far maturare in lei la decisione di emigrare. Il regime nazista le ritirò la cittadinanza nel 1937, quindi rimase apolide fino al 1951.

Nel 1940 sposò il poeta e filosofo tedesco Heinrich Blücher, con cui emigrò (assieme a sua madre) negli Stati Uniti, con l’aiuto del giornalista americano Varian Fry. Nel 1951 ottenne la cittadinanza statunitense. Divenne attivista nella comunità ebraica tedesca di New York, e scrisse per il periodico Aufbau.

Alla fine della seconda guerra mondiale si riconciliò con Heidegger e testimoniò in suo favore in un processo in cui egli veniva accusato di aver favorito il regime nazista, dato il  disinteresse dell’ex amante nei confronti della donna ebrea in occasione dell’emanazione delle leggi razziali tedesche.

Arendt scrisse sulla natura del potere, la politica, l’autorità e il totalitarismo.

Nel suo resoconto del processo a Eichmann per il New Yorker, Arendt ha sollevato la questione che: “il male possa non essere radicale: anzi è proprio l’assenza di radici, di memoria, del non ritornare sui propri pensieri e sulle proprie azioni mediante un dialogo con se stessi (dialogo che Arendt definisce due in uno e da cui secondo lei scaturisce e si giustifica l’azione morale) che persone spesso banali si trasformano in autentici agenti del male. È questa stessa banalità a rendere, com’è accaduto nella Germania nazista, un popolo acquiescente, quando non complice con i più terribili misfatti della storia, e a far sentire l’individuo non responsabile dei propri crimini, senza il benché minimo senso critico”.

Ne Le origini del totalitarismo (1951) ha tracciato le radici dello stalinismo e del nazismo, e le loro connessioni con l’antisemitismo. Il libro fu al centro di molte diatribe, perché comparava due sistemi che a molti studiosi europei – e anche a molti statunitensi – sembravano diametralmente opposti.

L’opera esemplare che evidenzia la sua teoria politica venne pubblicata nel 1958 con il titolo Vita Activa. La Condizione umana, dove l’aspetto politico viene reintegrato nella dimensione umana nel tentativo di restituire “una teoria libertaria dell’azione nell’epoca del conformismo sociale”, come rileva Alessandro Dal Lago nella sua introduzione alla edizione italiana.

Luciana E.

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