“Se questo è un uomo”: Primo Levi

se questo è un uomo                          levi

Voi che vivete sicuri

nelle vostre tiepide case,

voi che trovate tornando a sera

il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo

che lavora nel fango

che non conosce pace

che lotta per mezzo pane

che muore per un si o per un no.

Considerate se questa è una donna,

senza capelli e senza nome

senza più forza di ricordare

vuoti gli occhi e freddo il grembo

come una rana d’inverno.

Meditate che questo è stato:

vi comando queste parole.

Scolpitele nel vostro cuore

stando in casa andando per via,

coricandovi, alzandovi.

Ripetetele ai vostri figli.

O vi si sfaccia la casa,

la malattia vi impedisca,

i vostri nati torcano il viso da voi.

 

Primo Levi  è una delle figure più conosciute della letteratura italiana del Novecento. Ebreo e antifascista è noto soprattutto per il romanzo “Se questo è un uomo”.

Nacque a Torino nel 1919, subì le persecuzioni nazifasciste e fu  deportato ad Auschwitz nel 1944.  L’esperienza nel campo di concentramento lo sconvolse profondamente. Superstite della Shoah ritornò a Torino, si riprese fisicamente e riallacciò i contatti con i familiari e gli amici superstiti dell’olocausto.

Nel 1945, mosso dalla prorompente necessità di testimoniare l’incubo vissuto nel lager, scrisse “Se questo è un uomo”.

È un libro soprattutto di liberazione interiore, come lo stesso Levi dichiara, un’affermazione della dignità umana, anche in quell’inferno che aveva come scopo l’annientamento della persona.

Il libro è il racconto del tragico periodo della deportazione in stile realista-descrittivo.

Nel 1963 scrisse e pubblicò “La tregua” in cui narra le vicende del viaggio di ritorno dal lager.

Vinse il Premio Strega nel 1979 con il romanzo “La chiave a stella” in cui narra storie di esperienze e di attaccamento al lavoro di un tecnico.

Mori a Torino nel 1987: sui dubbi del suicidio, Marco Belpoliti, scrittore e critico letterario, scrive: “L’11 aprile Primo Levi si uccise gettandosi dalla tromba delle scale della sua abitazione di Torino. Riguardo ai motivi che lo spinsero a compiere questo gesto, si possono fare soltanto delle ipotesi; come Levi stesso scrisse a proposito di Jean Amery (anch’egli un deportato morto suicida), “nessuno sa le ragioni di un suicidio, neppure chi si è suicidato”. Probabilmente egli provava un senso di vergogna per essere sopravvissuto allo sterminio nazista, e la mancanza di risposte alla domanda “Perchè io?” (che farà da colonna portante a I sommersi e i salvati, forse il suo libro più importante) lo condusse ad una forte depressione. Lo scrittore sentiva, inoltre, di aver ricevuto un “dono avvelenato”, ovvero quello di dover raccontare ciò che aveva vissuto, costringendolo a rivivere continuamente la sua sofferenza. Infine, un recente intervento alla prostata lo aveva costretto ad interrompere i farmaci antidepressivi”.

Molti altri contestano l’ipotesi del suicidio poiché lo scrittore non aveva dimostrato in alcun modo l’intenzione di uccidersi e anzi aveva dei piani in corso per l’immediato futuro.

Luciana E.

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