C’era una volta: il telefono

telefono

Ritengo che a tutti sia capitato di sentir squillare il telefono, rispondere, e sentirsi chiedere “è il sig. XXX”.

Non so voi, ma a me irrita profondamente che qualcuno si introduca in casa mia – ancorché via filo – chiedendomi se sono io, senza prima aver detto chi è lui. E taccio di quelli col numero oscurato.

L’irritazione diviene poi una misura difensiva, oggi più che mai, da tutti quei seccatori che ti propongono vini a prezzi vantaggiosi, depuratori dell’acqua che ti faranno risparmiare sull’acqua minerale, tariffe telefoniche vantaggiosissime, e – episodio recente – l’avvio di un disco automatico, e non una voce umana, che ti spiega come risparmiare acquistando Dio sa cosa.

Una volta, e giuro che è vero, ricevetti una telefonata da un’agenzia di pompe funebri che mi offriva una specie di assicurazione: pagando un piccolo premio, in occasione dell’evento finale della mia vita terrena avrebbero pensato loro a tutto risparmiando anche le ultime fastidiose incombenze alla vedova inconsolabile!

Minchia! Le lasciavano più tempo per piangermi!

Trascorro a casa molto più tempo di prima, e queste pressioni telefoniche sono tante, alla faccia di tutte le privacy studiate dai sapientoni della riservatezza.

Oggi, con una modica cifra di 29 euro in offerta per due anni, si possono avere telefonate illimitate verso tutti i numeri nazionali, L’ADSL e in alcuni casi fortunati la internet key; se poi si è sotto natale anche gli scontati abbonamenti premium che vi consentono di vedere le partite di calcio e infilarvi poi – durante l’intervallo – negli spogliatoi per vedere i vostri beniamini tutti nudi sotto la doccia che spiegano in pseudo-italiano perché non hanno segnato deludendo molto il mister.

Il primo abbonamento che fece mio padre, era per la comodità di poter parlare in casa senza dover scendere alla cabina telefonica. Siccome erano gli inizi degli anni ’50, il telefono era un lusso che non tutti avevano: la conseguenza era che quel monumento nero dietro la porta del bagno alla fine del corridoio, stava spesso muto, vuoi perché non ti chiamavano, vuoi perché non sapevi chi chiamare, pochi infatti avevano il telefono.

Allora avevamo, perché la si poteva ottenere in meno tempo, una linea duplex: vale a dire che avevamo la linea telefonica in condivisione con un altro utente.

Da subito era risultato un cattivo investimento: la signora co-utente sapeva chi chiamare, e chiamava e stava al telefono a lungo, alla faccia degli scatti ogni 5 minuti di conversazione. Quando mia madre doveva telefonare alla sarta (e telefonava molte volte alla sarta) mi toccava scendere al piano terra e chiedere alla signora co-utente se poteva concludere, perché la sarta doveva essere informata di quanti centimetri accorciare il tailleur prima di cominciare a cucire.

Risultò anche un problema passare al singolo perché la signora in questione non voleva mollare la comodità di condividere la linea, e la Stipel non riusciva a trovare un altro utente da affibbiarle in duplex. Quando alla fine si riuscì io avevo 12 anni, e avevamo fatto sette o otto anni di duplex; le necessità della famiglia erano cresciute: alla sarta si erano aggiunte le amiche e i parenti che adesso avevano il telefono. L’apparecchio di bachelite nera, col tempo era diventato un affare grigio di linea più accattivante, e si potevano mettere delle derivazioni e avere così il telefono anche nelle camere, ma era e restava una cosa costosa.

Entrato nell’età degli amori giovanili, ero spesso richiamato e anche coercito a far telefonate brevi. Oggi mi dicono che si fa l’amore al telefono… allora no, soltanto di persona; pensandoci bene, era certamente meglio: le relazioni personali erano privilegiate.

C’era anche una cosa che oggi non c’è più: il gettone. A militare eravamo obbligati ad averne sempre uno in tasca. Eravamo costretti a stare in contatto con la Patria anche in libera uscita, in caso di evento eccezionale. Sempre a militare, avevo scoperto che il telefono del posto di guardia prendeva la linea esterna se giocavi un po’ con la forcella del ricevitore. Si poteva quindi chiamare la fidanzata.

Venuto il tempo del lavoro avevo il telefono in comproprietà col mio capo.

Era sulla sua scrivania. Rispondeva lui e mi passava la cornetta, guardandomi per farmi fretta; avanzando di grado ebbi alla fine un telefono mio; i controlli col tempo cessarono e arrivò il giorno in cui potei telefonare in libertà. Diversamente dal mio primo capo, non avevo onere di controllare i tempi telefonici dei miei collaboratori. Alla fine circolarono i telefoni cellulari aziendali, e non si badava più alle spese.

Fatalmente scese anche il livello delle conversazioni.

 

Sempre più spesso oggi si può assistere a persone che al telefono cellulare si raccontano cose assolutamente stupide. Oggi il telefono è una necessità primaria; ma allora, quando era un lusso, non c’erano le necessità primarie?

C’erano. Non erano quelle di raccontarsi quello che lui ha detto e quello che lei ha risposto, scendendo in una polemica che – essendo fuori luogo, inutile e costosa allora – lo è di sicuro anche adesso.

E taccio su sms, what’s app, messenger e le altre diavolerie create per non perdersi nemmeno una fesseria delle tante che si dicono. E poi il collegamento a facebook per conoscere in tempo reale l’ultima indignazione per le nefandezze dell’ISIS.

Voglio dire che il cellulare era nato per i casi di emergenza: casomai l’auto si fosse bloccata per strada potevo farmi soccorrere. Bene: la tecnologia ha creato automobili talmente perfette che non si bloccano mai salvo in caso di incidente (ma in questo caso ti ingessano direttamente col telefonino all’orecchio).

Quindi l’attrezzo dalle cento suonerie è inutile.

E invece no! Tanto utile che si telefona andando in macchina, e sempre telefonando si fanno gli incidenti.

Da un paio d’anni Vodafone mi manda un sms che dice, più o meno: “ultima possibilità. Rispondi entro fine mese. 1.000 minuti verso tutti, 1.000 sms e 2 giga di navigazione a soli 12 euro, ecc.

Pensa… adesso con 12 euro posso dire tutte le cretinate che voglio per 6 ore e 40 minuti! E posso scriverle pure 1.000 volte! e twittare fino allo sfinimento.

Un vero affare; e non è nemmeno difficile trovare chi le ascolta e le legge…

E il buonsenso sempre più a riempire i bidoni della spazzatura (a tal proposito: per la raccolta differenziata, dove va messo?)

Era meglio prima? Non lo so.

Era più difficile essere fessi: molte “perle” restavano nella testa di chi le concepiva, e mille indignazioni tutte uguali le sentivi una volta sola e ti stancavi meno perché non dovevi mettere un “mi piace”.

Erberto Accinni

 

 

 

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