Della crudeltà

Anni fa, quando ero un giovin impiegatello, ebbi un capo che era un appassionato di storia del West come me. Anzi, lui era molto più di me: era un collezionista delle armi che fecero la storia del West.
Un giorno, partendo da una osservazione su contributo della Colt alla fine dei Pellerossa, fece una considerazione a proposito di qualcosa che aveva letto: la loro fine fu un fatto inevitabile giacché l’ostinazione a non adeguarsi ai nuovi tempi era un freno per il progresso del paese; la civilizzazione doveva passare prima attraverso l’imbarbarimento, da qui il genocidio e la crudeltà che conosciamo nei confronti dei nativi.
Il desiderio di conquista e di possesso dei bianchi portò inevitabilmente al loro sterminio. Era fatale che uno scontro di mentalità diverse finisse col determinare il prevalere dell’una sull’altra che mal si assoggettava a ogni integrazione.
Era una osservazione che mi colpì, tanto che ancora oggi la ricordo: era priva di fronzoli e di visioni romantiche della vita a contatto della natura prendendo lo stretto necessario. Mi parve uno scontro ideologico fra libertà e cattività: e in effetti la razza bianca – almeno fino al XIX secolo – si era ben distinta nell’arte della sottomissione. Per più aspetti, la stessa guerra civile americana ne è la prova; non parliamo poi delle guerre che hanno sempre insanguinato l’Europa.

Mentre riflettevo su questo ricordo, ascoltavo la “Marcia dei Toreador” della Carmen di Bizet. Non saprei ora dire se un pensiero ha richiamato l’altro o viceversa, ma mi è venuto in mente che la corrida è ora stata messa al bando come uno sport crudele nei confronti degli animali, per il solo piacere di uccidere. Molte sono le cattiverie che l’uomo commette sugli animali, non ultimi quei disgraziati che si sono filmati col telefonino mentre uccidevano un cane.
Non so mai spiegare perché, ma la mia testa viaggia senza limiti (a volte nemmeno quelli del buongusto), e mi è venuta una visione: sarebbe bello se, una volta individuata la barbarie, tutti – ripeto tutti – ne prendessero coscienza e la evitassero. Il vero punto, però, è che l’umanità marcia a velocità diverse (e non si sa nemmeno bene quante siano e dove voglia arrivare).
Se la civiltà occidentale (Noi) pare aver preso coscienza che occorre rispettare la natura e le persone, rimane una gran fetta di altri uomini (Loro) che ancora deve fare questo passaggio.
Galoppando per i fatti suoi, la mente mi ha posto davanti ad una prospettiva: Noi belli grassi e pasciuti, vestiti bene e dediti alla ricerca di ogni leziosità che sempre meno ci disturbi la vista, e Loro che della violenza se ne fanno ancora un vanto.
Se si dovesse arrivare a uno scontro diretto… Noi che faremmo? Andremmo Loro incontro con un bel sorriso e tanta ragionevolezza? Mi sembra la storiella dei lupi e degli agnelli.
Ne è derivato un altro pensiero; lasciamo la violenza per un momento: serve essere crudeli?
Sono troppo civile per rispondere, e forse non è c’è una risposta a una argomentazione così aberrante.
Però la crudeltà esiste, sia perché insita nell’animo umano sia perché nella storia dell’umanità è spesso servita per imporsi sugli altri, per causare terrore e distruggere la voglia di reagire. Uno strumento di controllo dei soccombenti, insomma.
Ho sentito una ricostruzione storiografica delle ragioni per cui i nazisti adottarono le camere a gas. Le SS che fucilavano o sgozzavano gli Ebrei, dopo un po’ di tempo di quel lavoro avevano contraccolpi psicologici che turbavano la loro efficienza, da qui la necessità di una distruzione di massa più efficace e impersonale e che non causasse disturbi alla coscienza.
Sta diventando un discorso molto complesso, che adesso coinvolge valori morali presenti in ciascuno di noi, un po’ più un po’ meno. Mi chiedo se quelli dell’Isis – che si vantano di esser veri fedeli sgozzando le persone davanti alle telecamere – prima o poi avranno la coscienza disturbata o se saranno tutti come Eichmann che non si è mai pentito.
E chi lo sa?
Rimane una considerazione: certe immagini crudeli stanno in noi. La morale e l’educazione le inibiscono, però – almeno nel pensiero – chi di noi non ha mai fantasticato di vendicarsi con crudeltà per un torto subito? Di torturare chi ci ha offeso con cattiverie talvolta fantasiose?
Gengis Khan entrava in un villaggio, faceva tagliare le teste a tutti tranne che a uno o due, che mandava come ambasciatori in altri villaggi a riferire cosa avevano visto e cosa sarebbe successo se non si fossero fatti conquistare.
Probabilmente era un calcolo politico. Se avesse messo a ferro e fuoco tutti i villaggi su cosa avrebbe poi dominato? sulla terra bruciata?
Infatti, conclusa la fase della conquista i suoi costumi barbari finirono con integrarsi con quelli più miti dei conquistati. La brama di possesso diminuì, e la civiltà araba divenne poi la turca, dove seppur con limitazioni seguirono regole più giuste: amministrazione dei territori spesso utilizzando le strutture dei conquistati, integrazione, poi apprezzamento delle opere d’arte, ordine sociale (certamente discutibile).
Rammento anche il Comandante Blight del Bounty, che davanti alle considerazioni del suo secondo Christian che riteneva eccessiva una punizione inflitta a un marinaio (24 frustate), rispondeva che in questo caso la crudeltà era efficienza; dopo aver visto la carne strappata, nessun altro avrebbe più osato discutere i suoi ordini.
E fra un massacro e l’altro l’umanità è arrivata ai nostri giorni, dove pubblicamente si aborre ogni crudeltà.
È stata utile? Senza crudeltà saremmo arrivati dove siamo oggi? Giorni in cui, bene o male, la razza di cui facciamo parte – nel suo complesso – vive molto meglio di altre?
Mia madre, quando si rivolgeva a me da bambino, non mi chiamava “amore della mamma”. Ha certamente commesso delle ingiustizie, e non credo che se ne sia mai pentita. Come lei, molte altre mamme. Ci hanno abituati, anche severamente, a una disciplina e un controllo che oggi non ci sono più.
Una cosa era necessaria se si poteva comprarla; adesso è indispensabile e motivo di disagio sociale se non si riesce a possederla. Tutto questo per dire che, rispetto ad altri popoli, siamo piuttosto rammolliti.
Ma se altri popoli divenissero così pressanti da trascinarci una guerra per difenderci da Loro… l’Occidente odierno saprebbe farlo o sarebbe tanto ragionevole e inorridito dalla crudeltà da soccombere? Saremmo ancora capaci di difendere le nostre conquiste?
Vero è però che il benessere è anch’esso un’arma; non furono gli ozi di Capua a indebolire l’esercito di Annibale?
È come dire che ci resta una possibilità: che la nostra civiltà del benessere ci metta poco tempo a conquistare e integrare i barbari, cosicché le crudeltà durino poco.

Lo scritto è certamente molto striminzito, più uno spunto per altre riflessioni che però non possono essere fatte tutte qui; e non tutte da me, ma meglio se con l’intervento di qualcuno che ne sappia di più.
Ora è più una speculazione mentale e molto poco filosofica, che lascerà il tempo che trova.
Ho anche un’ultima annotazione da fare… Martin Lutero, per amor della discussione, una mattina affisse 95 tesi sulla porta della cattedrale di Wittenberg. Doveva essere uno spunto per una pubblica discussione, perché le menti del tempo si mettessero a parlare e forse ragionare accademicamente.
Ne uscì un pieno di portata tale da cambiare definitivamente la storia dell’Europa dopo 140 anni guerre e crudeltà a non finire!

Erberto Accinni

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